Il “miracolo” della condivisione

 

Quella che celebriamo oggi è una festività strana, perché la memoria del sangue e del corpo di Cristo, per la comunità credente delle origini, è in un primo momento una memoria drammatica, tragica. Per lo meno per come quel sangue scorre sull’epidermide delle discepole e dei discepoli di Gesù, visto che il sangue è legato all’esperienza della morte del loro amico e maestro. Esperienza della kenosis di una persona amata, desiderata a cui si vuole profondamente bene. Celebrare il mistero del sangue e del corpo di Cristo è, dunque, frutto di una riflessione certamente profonda, ma avvenuta a notevole distanza dai fatti reali. Per non parlare del fatto di far diventare questa difficile contemplazione e comprensione, una “festa” dentro un calendario liturgico ufficiale.

E allora, in questo caso bisogna fare anche memoria storica di questa istituzionalizzazione che cambia il dramma, la grazia, lo sforzo di liberazione in solennità e soprattutto trionfo. Sappiamo infatti che la complessa storia di questa solennità, viene da lontano, tra l’esperienza mistica di una donna, Giuliana di Mont-Cornillon presso Liegi (tra il XII e XIII secolo), nelle sue contemplazioni notturne e le violente lotte della Chiesa ufficiale contro le cosiddette eresie. In realtà, dalle prime intuizioni di quella donna all’istituzionalizzazione della festa, passerà molto tempo: fu il papa Giovanni XXII che nel 1318, consacra questo mistero alla solennità liturgica e al trionfalismo, che non riesce comunque a nascondere, del tutto, l’indicibile di chi ha vissuto e poi narrato quel kairos o quell’“ora”, detto con linguaggio giovanneo. E in questo caso, nessuno può togliere tutta la forza del dramma di quel “sangue sparso”.

E il senso, appunto, è solo questo strano sforzo per poter vivere, che implica ogni elemento vitale: tra sangue, acqua, spirito, inteso davvero come respiro, come alito. Ma il ricordo che oggi tocca a noi ci viene dall’eco di un’altra comunità, quella di Luca che contrariamente allo stile della festa del Corpus Domini a cui siamo abituati, si basa su un ricordo molto quotidiano, essenziale e profondamente reale.

Probabilmente il pretesto della comunità di Luca nel ricordare questo episodio, è supplire a quella confusione e sgomento che si erano creati attorno all’altra esperienza, molto più traumatica, che è quella della cosiddetta “ultima cena”. E questo è vero anche per noi; forse l’unica spiegazione si trova nella gestualità e nella passione quotidiana, nell’infinito desiderio del Gesù storico, e di quel suo modo di stare tra la gente e di prendersi cura delle problematiche reali: alloggiare, trovare cibo, perché siamo in una zona deserta… E la risposta a questa inquietudine è legata appunto alla sua passione per la realtà, alla sua conoscenza sapienziale di quello che comunque si sarebbe potuto realmente fare. Probabilmente, penso io, glielo aveva insegnato sua madre in casa o le sue sorelle, le sue amiche; l’aveva visto fare tante volte dalle donne con tanti figli, con tanti ospiti in casa. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero. Quello è il gesto, fuori da qualsiasi rituale; quello è il gesto da ricercare se in qualche modo si vuole ricomporre dei legami rotti; dei vincoli storici sociali ed economici traditi. Il cibo deve incominciare a bastare e con il cibo tutto il resto: l’acqua, la terra e i suoi elementi, le cose. Il termine moltiplicazione, riferito a questo testo, è qualcosa che abbiamo detto noi, affetti sempre dalla stessa malattia del calcolo e dell’accumulo, ma di per sé, nella memoria dei discepoli e delle discepole, non esiste. Gesù spezza i pani e pesci e poi tutto viene messo in questa circolarità. Utopia per qualcuno, miracolo per altri. Personalmente non mi interessa: non credo all’utopia come semplice concettualizzazione e consolazione delle nostre mancanze, delle nostre assenze, dei nostri ritardi; ma non credo nemmeno a nessun intervento straordinario. Elementi e cibi spezzati e rimessi in circolo: è normale che si moltiplichino e che bastino e avanzino.

 

 

 



1 Antonietta Potente, teologa domenicana, « Il “miracolo” della condivisione»Omelia fuori tempio per Domenica 2 Giugno 2013, Festività del Corpo e Sangue di Cristo. ANNO C- Gen 14,18-2; Sal 109; 1Cor 11,23-26; Lc 9,11b-17.

Da Adista Notizie n. 17 - 04 Maggio 2013

 

 

LA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI

 

L’episodio della «moltiplicazione dei pani», riportato nel brano evangelico di Lc 9, 11-17, allude evidentemente all’Eucaristia.

Leggendo questo fatto la prima idea che si presenta è: cosa significa per noi, cosa vuole comunicarci? Interpretandolo in senso letterale, storico, materialistico, ci appare come un evento miracoloso che rivela il prodigioso potere di Gesù Cristo e niente di più. In questa prospettiva rimaniamo con i nostri interrogativi: è realmente accaduto, è frutto di fantasia popolare che voleva esaltare la figura del Maestro? Da questo punto di vista non merita che ci si soffermi molto; esso, se veramente accadde, interessò la folla affamata, ma noi non ci riguarda molto.

Se invece lo prendiamo alla lettera, così come suona, cercando di afferrarne il significato reale e recondito, tenendo conto e dell’avvenimento sensibile e del suo contenuto, usando la chiave interpretativa della nostra esperienza dell’Eucaristia, allora esso ci affida il dono di una preziosa conoscenza.

La lettura storico-letterale è astratta e materialista, considerando essa il fatto della «moltiplicazione dei pani» sotto l’influenza di impressioni sensibili raccolte nel cervello. La lettura spirituale è realista, inserita nella realtà dell’avvenimento, inclusiva e non esclusiva, non si ferma a un unico suo aspetto negandone gli altri, lo abbraccia nei suoi molteplici significati e li ricollega in una concreta e reale unità. Infatti, se riusciamo a sospendere l’attività dualizzatrice della ragione cerebrale, vediamo che il reale è unità, essenza vivente, coscienza che si rivela in varie gradualità.

L’episodio della «moltiplicazione dei pani», nella lettura spirituale, acquista tutto il suo pieno significato di evento sensibile, e di indicazione di un qualcosa che, mediante la realtà di Cristo, iniziava a compiersi nella coscienza umana.

Cristo compie il miracolo in una zona deserta, indicazione preziosa per una lettura spirituale dell’episodio, che, per essere compreso, ci domanda di disarticolare la mente, di spogliarci delle sue forme, per poter seguire la linea vitale della ri-nascita cristiana.

Rinascere è prender la via opposta a quella in cui l’uomo nasce, è capovolgere la linea del divenire cosmico e umano. La linea della creazione parte dal Padre e va fino alle ultime particelle dell’energia, movimento di discesa che trova il suo punto di arresto e di inversione nella venuta di Cristo, l’Adamo secondo. Il primo Adamo è la discesa nel mondo fisico per ché la coscienza umana possa avere un corpo, l’incarnazione. Il secondo Adamo introduce le forze dello spirito nell’uomo e sulla terra per iniziare il movimento di risurrezione, di liberazione dalla pesantezza.

Prima di Cristo c’era l’idea di fermarsi lungo la discesa verso il mondo fisico: essa era percepita come anelito verso quella vita che è oltre la realtà sensibile; dopo Cristo non è più un’aspirazione: il ritorno all’unità originaria è un fatto reale. Dio è sulla terra, nella terra, in noi. Rinascere è sentirsi realmente in Dio, è credere Dio in noi.

Il giusto atteggiamento allora è assumere questa certezza con un atto di fede, è pensare Dio, Cristo in noi come il pane che alimenta tutte le manifestazioni della nostra vita. Allora è pane, e, se è accolto con la certezza della sua presenza in noi, le nostre forze vengono sostenute e moltiplicate. Egli è il pane per la nostra vita fisica, morale, spirituale.

Dopo l’istituzione dell’Eucaristia, dopo il Golgota, il Padre è in noi, nella profondità dell’essere e nell’estensione di tutta la vita. Cosi tutta la vita, qualunque sua circostanza, qualunque sua vicenda è «pane» che nutre la nostra vera vita. Tutto nella vita interiore ed esteriore è pane che nutre la nostra vita e la nostra conoscenza vera.

Quello che avvenne nella «moltiplicazione dei pani» e quello che avviene nell’Eucaristia, sono il segno di una realtà nuova cominciata con Gesù Cristo. Dio è nella vita. Cristo è nella vita, come alimento indefettibile che fortifica le nostre forze nel cammino del ritorno al Padre.

Percepire, sentire, vivere questo fatto ci pone fuori dal dualismo che caratterizza la nostra quotidiana esistenza, e ci ricolloca in quell’ardente corrente ascensionale che si è aperta il varco nel profondo della coscienza con la venuta di Cristo, con la sua morte e la sua risurrezione.

Partecipare a questa corrente, che si manifesta in tutta la vita universale, con la nostra azione che è dare e ricevere, amare con ardente passione smettendo di preoccuparci di salvare l’anima, perché siamo in Dio, è essere nella vita eterna. In quella vita che ci fa scoprire la vanità delle nostre paure e preoccupazioni, la meschinità dei nostri piccoli interessi, ci dischiude il senso di ogni evento, di ogni fatto personale e collettivo, ci dona l’energia per compiere con intrepidezza il nostro servizio cristiano, ci rende consapevoli di quel pane di vita che continuamente e prodigiosamente ci vien dato.

Così la «moltiplicazione dei pani» è un fatto che possiamo sentire sempre attuale e operoso in noi e nel creato; conoscerlo è vivere la vita eterna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



1Giovanni Vannucci, in La vita senza fine,1a ed. Centro studi ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte (BG) ed. CENS, Milano 1985; «La moltiplicazione dei pani» Pag. 106-108. Anno C.