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dom

19

mag

2013

Bambine violate: la buona guerra di suor Giustina

La coraggiosa salesiana veneta e il mercato delle ragazze comprate per un pugno di reais

DA SÃO GABRIEL DA CACHOEIRA

GHERARDO MILANESI

L a battaglia di suor Giustina Zanato ricorda quella di Dorothy Stang, la religiosa americana assassinata nel febbraio del 2005 dai killer di potenti fazendeiros di Anapu, nello Stato amazzonico del Parà. Suor Dorothy lottava per garantire ai più bisognosi un fazzoletto di terra da poter coltivare in pace; suor Giustina aiuta le ragazzine più disperate di São Gabriel da Cachoeira, la piccola cittadina dell’Amazzonia al confine con la Colombia e il Venezuela, a rifarsi una vita la-sciandosi alle spalle un passato di abbandono e, spesso, di abusi sessuali. Una cittadina dove il 90% della popolazione è indigena e dove, per le più povere, il sesso diventa spesso merce di scambio per garantirsi la sopravvivenza. Una pratica che coinvolge tristemente anche bambine fra i 10 e i 14 anni e viene denunciata, senza che nulla cambi, dal lontano 2008. Ma che è rimbalzata agli onori delle cronache, diventando un caso nazionale, solo quando la suora salesiana ha fatto sapere che il prezzo pagato per acquistare la verginità di alcune bambine indios di São Gabriel era di 20 reais, meno di 8 euro e, in altri casi, le ragazze venivano comprate addirittura con una scatola di caramelle.

 

A spingere la polizia federale a fare finalmente luce sulla drammatica vicenda è stata infatti proprio lei, suor Giustina, 63 anni, salesiana, nata a Marostica (in provincia di Vicenza), venuta a conoscenza degli abusi attraverso i racconti delle ragazzine che ospita e assiste nel suo centro di accoglienza, la Kunhantai-Uka-Sorri, che in guaranì significa «Casa della ragazza felice», un luogo dove hanno trovato rifugio oltre 300 ragazze abbandonate della regione di São Gabriel, povere e spesso vittime di abusi sessuali. «Non è stato facile raccogliere le testimonianze, spingere le ragazze a parlare – racconta suor Giustina –. La paura, la vergogna, il timore che le loro denunce restassero impunite, come tante altre in passato, hanno reso molto difficile convincerle ad aver fiducia nella giustizia e a raccontarei fatti».Le ragazze del centro che alla fine hanno collaborato con la polizia hanno trovato il coraggio di farlo perché la religiosa italiana si è schierata al loro fianco. «I responsabili sono potenti commercianti della zona, imprenditori influenti, militari, dipendenti pubblici e probabilmente anche reclutatori specializzati legati a organizzazioni dedite allo sfruttamento della prostituzione in tutta la regione amazzonica», spiega la suora.

 

Secondo l’Onu, in Brasile esistono 241 rotte utilizzate per il traffico di esseri umani, di cui 110 interne e 131 internazionali. Il nord del Brasile, quindi tutta la regione amazzonica, è l’area dove i trafficanti del mercato del sesso agiscono più impunemente ottenendo i maggiori introiti. Approfittano delle gravi condizioni economiche in cui versano gli indios per strappare alle famiglie le ragazzine più giovani, più carine e quindi più 'adatte' a diventare prostitute. La senatrice Angela Portela,coordinatrice della Commissione parlamentare d’inchiesta sul traffico di esseri umani in Brasile, ha spiegato che per portarsi via una ragazzina i trafficanti pagano alle famiglie 1.500 reais (circa 570 euro): «Per le minorenni e per le più carine, i mercanti pagano cifre più sostanziose. Le più richieste dal giro hanno fra i 12 e i 17 anni», assicurala senatrice.I trafficanti trasferiscono le ragazze indigene nei bordelli del Suriname o di altre città dell’Amazzonia come Manaus, Boa Vista e Santarem, che si trova a 1.200 chilometri da São Gabriel da Cachoeira. Il modo di adescarle è sempre lo stesso: la promessa di un impiego sicuro, spesso come donna di servizio o ballerina; la garanzia che potranno tornare a casa se non si troveranno bene. Ma, quando giungono a destinazione, vengono private dei documenti di identità e minacciate di morte. Per riacquistare la libertà, dovranno rimborsare le spese di viaggio (biglietto aereo, vitto e alloggio) a chi le ha reclutate. Un debito troppo pesante per essere saldato con un lavoro normale, e questo renderà la maggioranza di loro schiave dei mercanti di sesso per lunghi anni.

La suora salesiana, che è anche presidente del Consiglio comunale per la difesa dei bambini e degli adolescenti e coordinatrice della Pastorale dei minorenni, opera a São Gabriel da Cachoeira da quasi 5 anni. E mai prima d’oggi era riuscita a ottenere tanta ripercussione sui mass mediaper i casi di sfruttamento e abuso sessuale delle bambine indigene in Amazzonia, che lei difende: «Le denunce erano frequenti, ma era difficile ottenere risultati. È molto triste pensare che chi è schierato dalla parte della giustizia sia ingiusto», si sfoga la religiosa. La drammatica vicenda delle giovani indigene di São Gabriel ha richiamato l’attenzione della stampa nazionale anche perché a Iranduba, una cittadina a 25 chilometri da Manaus (capitale dell’Amazzonia), venti ragazzine, molte di loro indigene appena tredicenni, sono misteriosamente sparite nello stesso periodo. Il tribunale dei minori locale sospetta che dietro le sparizioni delle piccole indios vi sia un’organizzazione, denominata Fenix, che recluta, anche con la forza, giovanissime indigene per le case di prostituzione della Rondonia e di altri Stati amazzonici.

Una delle ragazzine sfuggite alla gang di reclutatori, Renata Silva, 14 anni, ha raccontato alla polizia di essere stata condotta a Manaus, in un locale dove venivano mantenute prigioniere diverse bambine costrette a prostituirsi: «Mi hanno subito detto che, se avessi cercato di reagire, mi avrebbero ucciso. Quando ho cominciato a piangere e a gridare, sono stata immobilizzata da due uomini che mi hanno soffocatacon un lenzuolo fino a quando sono svenuta».

Suor Giustina spiega che è molto difficile ritrovare le giovani, convinte dai trafficanti ad abbandonare la città con promesse improbabili: «Le distanze in Amazzonia, e in Brasile in generale, sono enormi, recuperare una ragazza una volta che sia stata condotta altrove diventa un’impresa ardua – spiega –. Mi è già capitato di aiutare una mamma a ritrovare una figlia finita a Santarem, a quasi 3mila chilometri da qui. In un’altra occasione ho dovuto recarmi nello Stato dello Spirito Santo, dove una delle ragazze di São Gabriel è stata ritrovata uccisa perché voleva uscire dal giro».

La religiosa salesiana, che vive in Brasile dal 1984 e ha iniziato la sua opera a favore degli indigenti di Manaus nel 1986, punta il dito contro i consumatori di questo mercato: «Non possiamo pensare solo alla responsabilità di chi guadagna facendo del sesso un commercio, non possiamo dimenticare che i colpevoli sono anche i 'consumatori'. Ho visto pure italiani approfittare di giovani ragazzine qui a São Gabriel. Tre anni fa – conclude la suora – ricordo di essere dovuta andare persino a Savona a recuperare una ragazzina che era stata portata in Italia».

Come suor Dorothy, suor Giustina è in pericolo. Troppi nomi importanti esposti in una cittadina così piccola, dove la vita vale meno della pallottola usata per ammazzarti. Ma lei assicura, serena: «Io vado in giro per la città e non ho paura. Faccio la mia parte come religiosa e mi sento un membro della famiglia indigena che in Brasile mi ha accolto con tanto amore».

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La religiosa punta il dito contro i turpi mercanti e i consumatori di sesso:

«Anche italiani. Tre anni fa sono dovuta andare a Savona per liberare una ragazzina»

 

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dom

19

mag

2013

Suor Giustina Zanato fma

 

Suor Giustina Zanato fma


Nasce a Marostica (Vicenza) nel 1949, ma sin dai primi mesi di vita si trasferisce a Nibbiola. In gioventù si consacra tra le figlie di Maria Ausiliatrice ed esercita l'insegnamento scolastico e l'impegno catechistico in numerose comunità salesiane del novarese, oltre a collaborare attivamente con il Centro Diocesano Giovanile di Novara.

 


 

Nel 1980 l'incontro con madre Teresa di Calcutta è folgorante, soprattutto una sua domanda: "Che cosa hai già fatto per i più poveri?". La latente vocazione missionaria fiorisce pienamente e il 12 ottobre 1984 sbarca a Manaus, dove inizia a lavorare con entusiasmo nel quartiere Sao José II, uno dei più poveri e violenti della periferia. Nel 1986, guidata dal carisma della congregazione e dall'intuizione personale, ma soprattutto dalle comprovate esigenze della gente, apre con le sue consorelle la "Casa Mamãe Margarida", una casa di accoglienza per bambine e ragazze in condizioni disperate per offrire loro una casa e una famiglia, dove vivere e crescere nel pieno rispetto della propria dignità. Passione e dedizione sono totali, tant'è che entra come rappresentante della chiesa cattolica nel consiglio regionale dell'Amazzonia per i diritti umani.

 

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dom

12

mag

2013

Narcos e mafie in Russia

L’arresto, poco più di un mese fa (30 gennaio 2013), nell’aeroporto Sheremetyevo di Mosca, di un sacerdote colombiano “mula” con un chilogrammo circa di cocaina nello stomaco contenuta in alcuni preservativi, ci offre lo spunto per dare nuovamente uno sguardo a cosa sta accadendo in Russia sul versante del narcotraffico internazionale. 

Libera informazione - Le dichiarazioni rilasciate dal sacerdote “costretto da un gruppo mafioso” a fare il corriere della droga, è una delle tante conferme sulla pervasività e pericolosità delle mafie. Mafie che, lo vado ripetendo da anni, non sono più ormai un semplice problema di ordine pubblico ma sono ormai un serio pericolo la sopravvivenza delle democrazie, l’indipendenza dei governi e delle istituzioni finanziarie di molti paesi (incluso il nostro). Molto si è parlato negli anni passati dell’esplosione del crimine organizzato nel terremoto economico e politico conseguente al crollo dell’Unione Sovietica, nel passaggio di questa ad un’economia di tipo occidentale. La criminalità, finché aveva retto il socialismo reale, non aveva mai assunto, almeno ufficialmente, la qualità di “organizzata”, perché il regime comunista si era sempre vantato della efficace azione statale di prevenzione e repressione svolta. 

In realtà, gruppi criminali, magari poco strutturati, esistevano e si consolidavano, controllando il mercato nero, parallelo a quello ufficiale che è stato sempre presente. Man mano che la politica e l’economia russa si andavano rivoluzionando in senso liberistico, generando ancor di più profondi squilibri sociali, le organizzazioni criminali si rafforzavano cercando di condizionare anche il potere politico. Il passaggio all’economia di mercato, avvenuto senza regole e senza controlli, ha di fatto aperto alla criminalità dei grandi capitali la possibilità di controllare ampi settori dell’economia e della finanza e, di conseguenza, della politica. L’apertura delle frontiere russe ha, poi, contribuito alla mafiosizzazione della Russia.
 

La criminalità del narcotraffico resta, ancora oggi, il problema più serio per questo paese. Molti i russi rimasti coinvolti nel lucroso traffico, nella produzione e nel consumo. Alla fine del 2012, secondo dati ufficiali del Servizio Federale Antidroga, erano 673.840 le persone registrate nelle strutture terapeutiche (stime più reali indicano in circa 2milioni e mezzo il numero dei tossicodipendenti). A marzo del 2012 è stata modificata la norma riguardante il consumo personale di stupefacenti prevedendo la possibilità di arrestare il tossicodipendente fino a 15 giorni oltre alla sanzione pecuniaria equivalente a 130/160 dollari americani. Contestualmente è stata introdotta la pena dell’ergastolo per il traffico di droghe in quantità “particolarmente rilevanti” e a livello internazionale.
 

 



 

I decessi per overdose sarebbero, mediamente, circa 30mila l’anno. Alla fine del 2011 (non sono ancora noti i dati del 2012), sono state sequestrate oltre 40 tonnellate di stupefacenti, in prevalenza cannabinoidi (poco più di 29 ton.), seguiti dagli oppiacei (6.473 kg.), dalle droghe sintetiche (2,2 ton.) e dalla cocaina (282 kg.). Sequestrati anche circa 100 kg, di desomorfina, una sostanza di base oppiacea estraibile da farmaci contenenti codeina (ad es. analgesici), In Russia è chiamata “krokodil” per i suoi effetti di desquamazione della cute degli assuntori con effetti devastanti (può portare alla morte in due, tre anni). Va anche ricordato che una buona parte del commercio illegale degli stupefacenti è rappresentato dalla canapa selvatica che cresce spontaneamente su vasti territori molti dei quali, seppur coltivabili, sono in stato di abbandono (si parla di circa 30 milioni di ettari). 

Il Servizio Federale Antidroga ha comunicato che, nel 2011, in tutta la Russia sono state distrutte, nelle stesse aree di localizzazione, circa 261mila tonnellate di piante di cannabis. Per delitti collegati alle droghe le persone arrestate sono state 35.897 di cui 34.648 cittadini russi (5.577 le donne), 1.051 cittadini dei vari paesi della confederazione e 257 di persone appartenenti ad organismi dello Stato. Alcuni cittadini italiani sono stati arrestati in Russia su richiesta dell’autorità giudiziaria italiana. Le potenzialità del mercato russo sono, dunque, elevatissime (la popolazione russa, secondo l’ultimo censimento del 2010,conta 141.945.966 abitanti), con un fatturato dell’ordine di centinaia di milioni di dollari considerati i prezzi all’ingrosso di eroina e cocaina.
 

Il panorama della criminalità resta piuttosto complesso e solo negli ultimi anni è stato possibile ricavare, da documenti giudiziari e di polizia oltre che da relazioni di esperti antidroga europei presenti nella zona, informazioni più dettagliate quanto alle sue strutture interne e alle dinamiche che ne scaturiscono. Alle organizzazioni mafiose russe (SolncevsKaja di Mosca, Izmajlvoskaja, Uralmashkaja, la Tambovskaja-Malysevkaja di San Pietroburgo, la brigata di Solncevo, solo per citare alcuni gruppi), a quelle euroasiatiche, alla criminalità cecena (presente in diverse città russe), si sono aggiunte, nel tempo, stabili rappresentanze della criminalità organizzata italiana, cinese, messicana, colombiana e nigeriana. In tema di riciclaggio, premesso che si sta cercando di adottare una nuova legislazione in tema di sequestro e confisca dei beni di provenienza illecita, sulle criticità del sistema finanziario russo in generale sono particolarmente significative le considerazioni formulate nel 2011 dagli esperti finanziari italiani presenti a Mosca.
 

Questi, rilevato come “il sistema corruttivo risulta avere carattere di sistematicità” e “costituisce persino impedimento a carattere generale nel contrasto al riciclaggio”, evidenziano la presenza in Russia di banche in grado di offrire servizi finanziari ombra (banche di lavaggio), che “sarebbero in grado di perfezionare trasferimenti di valuta all’estero in forma anonima senza rischi di credito”. Insomma una vera “pacchia” per riciclare il denaro proveniente dal narcotraffico e da altre attività criminali.
 

 

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dom

12

mag

2013

Iraq, dieci anni dopo l'invasione

In un rapporto diffuso l'11 marzo 2013, Amnesty International ha affermato che, 10 anni dopo l'invasione diretta dagli Usa che abbatté il brutale regime di Saddam Hussein, l'Iraq resta intrappolato in un orribile ciclo di abusi, tra i quali gli attacchi contro la popolazione civile, la tortura nei confronti dei detenuti e i processi irregolari.

Amnesty International - Il rapporto di Amnesty International contiene una cronologia di torture e altri maltrattamenti ad opera delle forze di sicurezza irachene e di truppe straniere, all'indomani dell'invasione del 2003. Inoltre, mette in luce il costante venir meno delle autorità irachene all'obbligo di rispettare i diritti umani e lo stato di diritto nella risposta agli incessanti attacchi mortali dei gruppi armati, i quali mostrano un vergognoso disprezzo per la vita dei civili. "Dieci anni dopo la fine del repressivo regime di Saddam Hussein, molti iracheni godono di maggiore libertà ma i traguardi fondamentaliche avrebbero dovuto essere conseguiti nel campo dei diritti umani devono ancora diventare realtà" - ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord. "Né il governo iracheno né le ex potenze occupanti hanno aderito agli standard richiesti dal diritto internazionale e, per questo motivo, la popolazione irachena sta ancora pagando un prezzo alto". La tortura è comune e praticata con impunità dalle forze di sicurezza, soprattutto nei confronti delle persone arrestate sulla base delle leggi antiterrorismo e che vengono interrogate in condizioni di isolamento. Sottoposti a questo trattamento, detenuti hanno denunciato di aver "confessato" gravi crimini o di averli attribuiti ad altri. Una volta portati in aula per il processo, molti hanno ritrattato le confessioni rese durante gli interrogatori ma i giudici le hanno ammesse come prova di colpevolezza, senza neanche indagare sulle denunce di tortura, emettendo lunghe condanne detentive o anche sentenze capitali. 

Un'altra ingiustizia consiste nell'aver esibito i detenuti durante le conferenze stampa o aver trasmesso in televisione le loro "confessioni" prima dei processi o prima dei verdetti, in grave violazione del principio d'innocenza e del diritto di ogni persona a ricevere un processo equo. La pena di morte, sospesa dopo l'invasione del 2003, è stata reintrodotta dal primo governo iracheno non appena entrato in carica e le esecuzioni sono riprese nel 2005. Da allora, sono stati messi a morte almeno 447 prigionieri, tra cui Saddam Hussein, alcuni dei suoi più stretti collaboratori e presunti membri di gruppi armati. Centinaia di prigionieri sono in attesa dell'esecuzione nei bracci della morte. L'Iraq, con 129 prigionieri messi a morte nel 2012, è uno dei paesi in cui la pena di morte viene applicata con maggiore frequenza. "Le condanne a morte e le esecuzioni in Iraq si susseguono in modo orribile. Desta particolare sconcerto il fatto che molti prigionieri siano stati condannati a morte al termine di processi iniqui, sulla base di confessioni a loro dire rese sotto tortura. È giunto il momento che l'Iraq ponga fine a questo terribile ciclo di abusi e dichiari una moratoria sulle esecuzioni come primo passo verso l'abolizione della pena di morte per tutti i reati" - ha sottolineato Sahraoui. 

Dal dicembre 2012, migliaia di persone sono scese in strada nelle aree a maggioranza sunnita, per protestare contro le detenzioni arbitrarie, gli abusi sui detenuti, l'uso delle leggi antiterrorismo e per chiedere la fine dell'atteggiamento discriminatorio del governo nei loro confronti. Nel frattempo, i gruppi armati sunniti hanno continuato ad attaccare non solo obiettivi governativi ma anche la popolazione civile sciita, non risparmiando neanche gruppi di pellegrini. Sebbene la semiautonoma Regione del Kurdistan, nel nordest del paese, sia rimasta largamente libera dalla violenza, i due partiti curdi al governo restano saldi al potere e non mancano denunce di abusi nei confronti dei detenuti. "Alla caduta di Saddam Hussein nel 2003 sarebbe dovuto seguire un percorso di fondamentali riforme nel campo dei diritti umani, ma quasi dal primo giorno le forze di occupazione si sono rese responsabili di torture e altre gravi violazioni dei diritti umani ai danni dei prigionieri, come dimostrato dallo scandalo delle torture ad Abu Ghraib che ha coinvolto le forze statunitensi e dal pestaggio a morte di Baha Mousa a Bassora, un uomo che era sotto custodia britannica" - commentato Sahraoui. Sia in Gran Bretagna che negli Usa, a parte inchieste su casi specifici, non si è indagato a fondo sulle massicce violazioni dei diritti umani commesse dalle forze dei due paesi e non ne sono state accertate le responsabilità a ogni livello. Ai cittadini iracheni vittime di violazioni dei diritti umani da parte di funzionari Usa, non è stato possibile adire le corti statunitensi.
 

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dom

12

mag

2013

Mali: timori per un 'contagio' jihadista. Il Sahel guarda all'Onu

“Il mondo occidentale non ha alcuna idea di quello che il Sahel era perché la storia lo ha portato assieme alla Nato a prestare maggiore attenzione all’Iraq e all’Afghanistan, ma potenzialmente il Sahel è molto più pericoloso, molto più di quest’ultimo”.  

 

 

 

 

 

 

Misna - Lo ha dichiarato l’inviato speciale del segretario generale dell’Onu nella regione africana, Romano Prodi, a due mesi dall’avvio dell’offensiva militare francese Serval in Mali. L’ex presidente del Consiglio italiano ha sottolineato che paesi quali Burkina Faso, Niger e Mauritania “hanno lo stesso timore, per non dire ossessione, di un contagio del proprio territorio” da parte di quei gruppi ribelli legati ad Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) che l’anno scorso hanno preso il controllo delle regioni settentrionali del Mali. “E’ comprensibile perché i loro paesi non hanno veri e propri confini” ha aggiunto Prodi, che nelle scorse settimane si è recato in visita nell’instabile regione. “La situazione del Ciad è un po’ diversa poiché il paese può contare su un esercito forte” ha precisato l’ex presidente della Commissione europea, sottolineando che “il numero e la forza di quei terroristi è stata pesantemente sottovalutata”. Prodi ha poi guardato in direzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che, secondo lui “è chiamato a decidere dei prossimi passi da compiere in Mali”, evidenziando che “sarà però necessaria una garanzia internazionale ad un’equa distribuzione dei fondi pubblici destinati al nord del paese”. 

A portare lo sguardo verso 

 

il Consiglio di sicurezza è anche la Francia, in prima linea nell’intervento militare che ha consentito di liberare le regioni settentrionali del Mali ma che sta proseguendo nel territorio montuoso degli Ifoghas e di Timetrine (nord-est), principale santuario di Aqmi. Il ministro degli Esteri Laurent Fabius ha annunciato che “probabilmente ad aprile verrà approvata una risoluzione” che dovrebbe dare il via libera a un’Operazione di mantenimento della pace in Mali (Omp), sponsorizzata e finanziata dall’Onu. La missione di peacekeeping potrebbe coinvolgere fino a 10.000 uomini, da dispiegare prima delle elezioni generali del prossimo luglio. I caschi blu dovrebbero così subentrare ai soldati francesi di Serval e inglobare l’attuale Missione internazionale di sostegno al Mali (Misma), a guida africana. Diversi paesi della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao) hanno già fornito 6300 militari, ai quali si sono aggiunte altri 2000 unità messe a disposizione dal Ciad. Anche l’organismo regionale ha dato il suo consenso formale al passaggio ad una missione Onu, viste le grandi difficoltà a reperire i fondi necessari al funzionamento della Misma. 

Intanto, alle accuse mosse dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu nei confronti dei soldati maliani, sospettati di gravi violazioni ai danni delle comunità tuareg, peul e arabe, il presidente di transizione Dioncounda Traoré ha risposto di non essere a conoscenza di “abusi su vasta scala ma piuttosto di casi isolati” che Bamako “proseguirà e punirà”.
 

Da Gao, la più importante località del nord, reportage e testimonianze concordanti hanno riferito del rientro di centinaia di maliani che raggiungono il capoluogo “a bordo di autobus stracolmi”. Diverse ong locali hanno assicurato che dall’inizio della crisi, nel gennaio 2012, l’80% dei 90.000 abitanti di Gao è scappato. Tornati nella città di origine, la gente deve però fare i conti con prezzi alle stelle e abitazioni saccheggiate. “I beni di prima necessità scarseggiano. Il mercato di Gao è inesistente: le strade verso sud sono bloccate quindi il riso non arriva. L’Algeria ha chiuso i confini quindi niente farina, latte, olio e zucchero” ha deplorato l’ong locale Tassaght. Secondo l’Onu il conflitto nel nord del Mali ha costretto 260.000 persone a spostarsi verso altre regioni e 170.000 a rifugiarsi nei paesi confinanti.
 

 

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dom

12

mag

2013

Iraq: a Baghdad si aggrava il bilancio degli attentati

È salito a 50 morti il bilancio delle vittime delle esplosioni a catena che hanno colpito oggi diversi quartieri sciiti e nel sud della capitale irachena alla vigilia del decimo anniversario dell’invasione americana in Iraq.  

 

Misna - Le autobombe sono esplose nei pressi di un affollato mercato di Baghdad, vicino alla Zona verde e in altri quartieri della capitale, prendendo di mira di mira soprattutto persone che si recavano al lavoro o al mercato. Tra i quartieri colpiti ci sono quelli di Sadr City, Husseiniya, Nuova Baghdad, Zaafaraniya. Il più violento degli attacchi – secondo le informazioni in circolazione – si sarebbe verificato nei pressi del ministero del Lavoro e degli Affari sociali nel quartiere di Qahira, in cui sono morte sette persone. Il governo iracheno ha deciso di posticipare di sei mesi le elezioni provinciali in programma il 20 aprile nelle due province di Anbar e Niniveh per motivi di sicurezza. Lo ha reso noto Gaata al-Zobaie, un funzionario dell’Alta Commissione elettorale indipendente. Dall’inizio dell’anno ci sono stati numerosi attentati contro candidati alle elezioni e attacchi che hanno riacceso le tensioni tra la maggioranza sciita e la minoranza sunnita.

 

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dom

12

mag

2013

Siria: Aleppo, lanciate armi chimiche sui civili

A Khan al-Assal, nella provincia di Aleppo, 25 persone sono morte asfissiate da un gas e 110 sarebbero in gravi condizioni. Regime e ribelli si lanciano accuse reciproche sul possesso e il lancio di armi chimiche. Per il segretario generale dell'Onu l'azione "è un crimine oltraggioso

Damasco (AsiaNews) - Il regime di Bashar Al-Assad e i ribelli si lanciano accuse reciproche per il lancio di armi chimiche su Khan al-Assal nella provincial di Aleppo, dove ieri un "denso fumo" ha ucciso 25 persone e ha fatto 110 feriti, la maggior parte con principi di asfissia. Bashar Jaafari, ambasciatore siriano all'Onu accusa i "gruppi terroristi" di aver sparato un razzo carico di sostanze chimiche. Ghassan Hitto, Primo ministro ad interim dell'opposizione in esilio denuncia invece le forze di Assad di aver fatto uso di agenti chimici fin dall'inizio del conflitto. 

 

 

 

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Emersa più volte come uno dei principali rischi del conflitto, questa è la prima volta in due anni di guerra che vengono lanciate bombe o missili con testate chimiche al loro interno. Anche se al momento non vi sono ancora prove per accusare il regime o i ribelli per tali azioni, Ban Ki-moon, segretario generale dell'Onu definisce l'uso di tali armamenti "un crimine oltraggioso". Ahmed Uzumcu, direttore generale dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, afferma che "siamo profondamente preoccupati per il presunto utilizzo di armi chimiche in Siria".
 

Sul piano diplomatico tutti sono confusi e dipendono dalle dichiarazioni, spesso tendenziose, dell'una e dell'altra parte. Ieri il ministero degli Esteri russo ha dato credito alla versione del governo siriano, affermando in una nota"che le armi di distruzione di massa sono caduti nelle mani dei combattenti ribelli".
 

Stati Uniti ed Europa criticano la posizione di Mosca e sono cauti sul lanciare accuse contro i ribelli del Free Syrian Army. Gran Bretagna e Francia che in questi giorni stanno confermando il loro sostegno armato alle milizie anti-Assad vedono il problema delle armi chimiche come una chiamata all'intervento diretto nel conflitto. Mark Lyall Grant, ambasciatore della Gran Bretagna alle Nazioni Unite afferma che "se realmente vi è stato l'utilizzo di testate chimiche occorre una risposta seria da parte della comunità internazionale".
 

Nel caos delle reciproche accuse fra regime siriano, ribelli e Paesi della Comunità internazionale, resta sconosciuta l'ubicazione degli arsenali chimici e soprattutto la loro entità. Secondo un rapporto del servizio di ricerca del Congresso degli Stati Uniti il regime di Assad avrebbe accumulato in questi decenni scorte di agenti nervini come il gas Sarin, il VX e l'iprite.
 

 

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dom

12

mag

2013

Africa: tratta degli esseri umani, un'epidemia silenziosa

“La tratta di esseri umani è la prima fonte di profitto al mondo dopo le droghe e le armi leggere”: lo ha sottolineato suor Maggi Kennedy, religiosa della congregazione delle Suore missionarie di Nostra Signora d’Africa, in occasione dell’inaugurazione a Roma di una mostra fotografica dedicata alla lotta contro la schiavitù.  

Misna - Di quest’intervento, pronunciato nell’ambito delle commemorazioni per l’anniversario della Campagna contro il commercio degli schiavi avviata 125 anni fa dal cardinale Charles-Martial Allemand Lavigerie, la MISNA pubblica il testo integrale. “Secondo un rapporto annuale del governo statunitense sulla Tratta di esseri umani, nel 2012 sul sangue innocente di 800.000 persone vittima del traffico internazionale di esseri umani, la metà delle quali bambini, sono stati realizzati profitti per 32 miliardi di dollari. Oggi sono detenuti in condizione di schiavitù, magari soggetti a lavoro forzato o a prostituzione, circa 12 milioni e 300.000 adulti e bambini [….]. Sembra quasi impossibile tenere sotto controllo questa epidemia. Le condizioni di vita di queste persone sono terribili, inimmaginabili. Il traffico di esseri umani, alimentato dalla povertà, tocca tutti i livelli di una società; è un fenomeno che esprime l’avidità insaziabile di persone senza scrupoli. 

Due fattori sono cruciali nella definizione della tratta degli esseri umani: il movimento e lo sfruttamento. Ci deve essere il reclutamento e poi il trasporto. Le persone sono spostate da una parte all’altra e anche i soldi vanno da una parte all’altra. A proporre una definizione globale è il Protocollo di Palermo: “La tratta di esseri umani vuol dire reclutare, trasportare, trasferire, nascondere o accogliere persone tramite minaccia o uso della forza o altre forme di coercizione, o tramite sequestro, frode, inganno o abuso di potere o di posizione di vulnerabilità, o dando o ricevendo pagamenti o benefici per ottenere l’assenso di una persona ad assumere il controllo di un’altra persona con l’obiettivo di sfruttarla. Nello sfruttamento rientra lo sfruttamento della prostituzione o di altre forme di dipendenza o la rimozione di organi. Il Protocollo di Palermo è stato sottoscritto da oltre 185 paesi, ma il traffico di esseri umani continua.
 

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dom

12

mag

2013

Perù: emergenza ambientale in Amazzonia, la voce degli indigeni

“Questa misura mette solo in evidenza quello che per molti anni i governi di turno, incluso quello attuale, hanno voluto nascondere. I popoli indigeni non si fidano né credono nelle decisioni del governo: riteniamo che sia solo un tentativo di dirci che sono preoccupati per la nostra gente, ma di fatto non hanno alcuna intenzione di sistemare le cose”. 

 

 

 



Misna - Così fonti di organizzazioni indigene, contattate dalla MISNA nella regione settentrionale di Loreto, commentano con amarezza e disillusione lo stato di emergenza ambientale per “contaminazione” che l’esecutivo del presidente Ollanta Humala ha proclamato in settimana nella conca del fiume Pastaza, al confine con l’Ecuador; un’area dell’Amazzonia peruviana in cui opera l’azienda petrolifera argentina Pluspetrol. Una misura, recita il decreto, che si è resa necessaria a fronte di “livelli di rischio significativo per la popolazione a causa delle elevate concentrazioni di elementi chimici e microbiologici presumibilmente associati all’attività idrocarburifera che superano gli standard ambientali”. 

“La situazione non è mai stata giudicata importante dal governo” continuano le stesse fonti, più volte bersaglio di minacce per aver svelato le collusioni politiche e gli interessi economici che persistono dietro ai disagi e alle sofferenze dei popoli nativi amazzonici peruviani. “La denuncia sulla contaminazione – insistono – si deve alle pressioni che il Puinamud, la federazione delle comunità indigene delle conche dei fiumi Pastaza, Corrientes, Tigre e Marañón, altamente contaminate dalle aziende petrolifere, conducono da tempo. Hanno denunciato lo Stato peruviano per la vendita delle loro terre, 40 anni di contaminazione, l’abbandono delle popolazioni locali. In più, il governo ha applicato trattati internazionali, come il Trattato di libero commercio, che lo hanno di fatto obbligato a cedere i territori degli indigeni amazzonici a società che estraggono idrocarburi e legname, così come alle imprese turistiche, in violazione dei diritti dei nostri popoli fissati dall’Organizzazione internazionale del lavoro, ovvero senza consultarci prima”.
 

 

 

Le fonti sentite dalla MISNA ricordano, tra l’altro, che “proprio in questi giorni alla Tv nazionale circola uno spot finanziato dal ministero dell’Ambiente e Pluspetrol che mostra la costruzione di una scuola a Andoas, un’area di conflitto colpita da contaminazione, nella provincia di Datem. Alla fine lo spot dice che «queste cose si possono ottenere quando c’è dialogo e buona volontà»…Beh, noi non crediamo nella buona volontà del governo e tanto meno in quella di Pluspetrol. La nostra gente muore e soffre di strane malattie senza che il governo faccia nulla. I popoli indigeni chiedono che si metta riparo ai danni provocati da oltre 40 anni di contaminazione, che si rispettino le loro terre. In caso contrario non potremmo neanche accettare le cosiddette ‘consultazioni preventive’: non si può chiedere a qualcuno il permesso di entrare nella sua casa quando già lo si è fatto. Il minimo che ci si deve attendere – concludono – è di essere cacciati in malo modo”. 

 

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dom

12

mag

2013

La Turchia rimanda in Siria centinaia di rifugiati

Amnesty International ha definito "un gesto di profondo disprezzo per l'incolumità delle persone" la decisione della Turchia di rimandare in Siria circa 600 rifugiati, il 28 marzo. 

 

 

Amnesty International - Queste persone si trovavano nel campo rifugiati di Akcakale, nella provincia di Sanliurfa, al confine con la Siria. Secondo quanto appreso dall'organizzazione per i diritti umani, questo atto di flagrante violazione del diritto internazionale e delle stesse leggi turche avrebbe fatto seguito a violente proteste scoppiate all'interno del campo. Amnesty International ha sollecitato le autorità turche ad assicurare che non vi siano ulteriori rimpatri forzati, che sottoporrebbero le persone interessate a un altissimo rischio di subire violazioni dei diritti umani una volta in territorio siriano. Le autorità turche dovranno anche chiarire le circostanze in cui i 600 rifugiati sono stati rimandati in Siria.

 

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dom

12

mag

2013

Siria: marzo il mese più sanguinoso dall'inizio della guerra civile

Marzo è stato il mese piu' sanguinoso in due anni di conflitto in Siria, con piu' di 6 mila morti. Questa la cifra fornita dall'Osservatorio siriano per i diritti umani, che fa capo all'opposizione: più di 2 mila i civili rimasti sul terreno. I morti tra i lealisti sono stati quasi 1500. Sentiamo Marina Calculli: ascolta 

 

 

Radio Vaticana - La guerra civile siriana ha fatto registrare un bilancio di oltre 6000 morti solo nel mese di marzo, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani. E’ stato il mese più sanguinoso dall’inizio delle proteste contro Bashar al-Asad. Tra le vittime circa la metà è composta da soldati governativi e ribelli – coloro che stanno di fatto combattendo questa guerra – ma si contano anche oltre 2000 civili tra cui centinaia di bambini e di donne. Sono cioè sempre di più coloro che subiscono questo conflitto. Per i cattolici siriani inoltre è stata senza dubbio la Pasqua più triste. A Ghassanye nel nord della Siria, dove restano non più di 15 persone, gli abitanti non hanno potuto celebrare né la Passione né la crocifissione. A Damasco la tv di stato ha mostrato le immagini della messa pasquale in alcune chiese, alcune di esse – tuttavia – quasi prive di fedeli. Ieri i combattimenti si sono concentrati ad Aleppo, dove parte della città vecchia è andata distrutta. Nel villaggio di Tal Kalakh, alla frontiera con il Libano, è stata invece scoperta un’altra esecuzione collettiva di cui il regime e i ribelli si accusano reciprocamente.

 

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dom

12

mag

2013

Anche nel conflitto siriano i bambini pagano il prezzo più alto

Abbandonati. Torturati. Violentati. Venduti. Uccisi. Bambini privati della loro infanzia. Sono i piccoli siriani che, secondo l’ultimo rapporto Syrias’s Children: a lost generation? («Bambini della Siria: una generazione perduta?») del Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (Unicef), corrono il rischio di avere una vita segnata. Per sempre. 

Terrasanta.net - La continua violenza e i danni a infrastrutture e servizi hanno colpito circa 4 milioni di persone, di cui circa due milioni sono bambini; tra questi più di un milione e 800 mila sono in Siria, e oltre 500mila si sono rifugiati in Libano, Giordania, Iraq, Turchia ed Egitto. A due anni dall’inizio del conflitto in Siria, a pagare il prezzo più alto di questa guerra sono proprio i bambini. «Questo perché la popolazione siriana è prevalentemente giovane - dichiara Andrea Iacomini, portavoce Unicef per l’Italia -. I bambini vivono quotidianamente sotto le bombe, patiscono il trauma di vedere i propri genitori o familiari e amici uccisi e sono terrorizzati da rumori e scene di combattimenti. Sono segnati psicologicamente. Hanno significative reazioni nervose. Non dormono di notte perché hanno paura che la loro casa venga bombardata. Questo in particolare nelle città che sono il cuore del conflitto. A tutto ciò si aggiunge la piaga mondiale dei matrimoni precoci. Le mamme sono disperate, per salvare la vita alle proprie bambine le vendono a facoltosi uomini arabi del Golfo per mille euro». 

La guerra ha compromesso anche tutto un sistema scolastico di centinaia di migliaia di bambini. Molte scuole, circa un quinto, del Paese hanno subito danni materiali, sono state bombardate quindi distrutte, o sfruttate come rifugi per sfollati soprattutto a Idlib, Aleppo e Deraa, oppure utilizzate dalle forze armate e da gruppi coinvolti nel conflitto. 

Ad Aleppo, per esempio, solo il 6 per cento dei bambini attualmente frequenta la scuola. Nelle aree in cui è alto il numero di famiglie sfollate, le classi sono sovraffollate e in qualche caso ospitano anche fino a cento alunni. «Più di cento insegnanti e altri operatori scolastici sono stati uccisi e molti altri non stanno più andando al lavoro - dice ancora Iacomini -. Altri sono fuggiti. Chi invece è rimasto lavora in condizioni molto difficili. Nelle città in cui il conflitto è intenso i bambini hanno già perso due anni scolastici, anche perché i genitori per questioni di sicurezza non li mandano a scuola».
  

Stando ai dati dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur), il numero di siriani registrati come rifugiati, o che sono stati assistiti come tali, ha raggiunto il milione, di cui appunto la metà sono bambini e adolescenti, e la maggior parte ha meno di undici anni. Al momento gli aiuti umanitari riescono a raggiungere solo una parte delle persone che ne avrebbero reale necessità. «Con un milione di persone in fuga, a cui si aggiungono altri milioni di sfollati interni e migliaia di persone che continuano ad attraversare il confine ogni giorno, la Siria sta precipitando in un disastro su vasta scala. Questa tragedia deve essere fermata», ha affermato l'Alto Commissario per i rifugiati António Guterres. 

Nei campi allestiti nei Paesi ospitanti, soprattutto Iraq, Libano, Giordania e Turchia, i siriani arrivano traumatizzati. «E quest'inverno sono arrivati in maniche corte... Abbiamo dovuto dare loro coperte e vestiti - riferisce il portavoce dell'Unicef per l'Italia -. I bambini vengono seguiti da psicologi, con il permesso della famiglia. Ripeto. Sono bambini segnati psicologicamente. Lo dimostrano anche i loro disegni. Gli psicologi invitano spesso i bambini a disegnare e loro raffigurano la loro casa abbandonata o distrutta e i cuscini sui quali dormivano. E sangue, tanto sangue. Per i bambini abbiamo allestito anche scuole mobili».
 

I siriani fuggono nei Paesi limitrofi perché sperano un domani di poter tornare a casa. «Ma anche perché molti non hanno mezzi, se non le gambe - continua Iacomini -. Se riescono a sopravvivere giungono fino al confine, stremati. Dopodiché raggiungono il primo Paese ospitante».
 

Oltretutto si assiste a una pressione della popolazione non indifferente, perché alcuni Paesi dove sono stati allestiti i campi ospitano già altri rifugiati di altri Paesi. «Come il Libano, che accoglie già i palestinesi. L'unico Paese attualmente ben attrezzato è la Giordania» sottolinea ancora Iacomini.
 

Quella siriana è la più grande e grave crisi umanitaria oggi al mondo. «Stiamo assistendo a un crimine paragonabile a quello della Bosnia e nessuno fa niente - conclude il portavoce dell'Unicef per l'Italia -. In Libia la guerra è durata un mese, in Mali una settimana. È una vergogna. Si dice che alla base ci siano ragioni geopolitiche. Ma per questioni geopolitiche non si fa tutto questo massacro».

 

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dom

12

mag

2013

A Damasco il pane è un bene di lusso, nel nord si sopravvive mangiando erba

 

Fonti di AsiaNews raccontano la vita nella capitale dove la guerra ha messo in ginocchio anche le famiglie più ricche. Migliaia di persone sopravvivono con le misere sovvenzioni del governo. Per superare l'inverno la gente ha disboscato i parchi pubblici. Code di sei ore per un pezzo di pane e un litro di benzina

 


AsiaNews - La guerra fra ribelli e regime di Bashar al-Assad mette in ginocchio anche Damasco, dopo aver devastato Aleppo, primo centro economico del Paese dove esercito e milizie islamiche si affrontano anche nei vicoli del centro storico. Secondo fonti di AsiaNews nella capitale e nelle principali città ancora in mano al governo manca tutto, ma si sopravvive grazie alle sovvenzioni del regime. Ogni giorno la gente è costretta a fare anche cinque, sei ore di fila per ricevere pochi litri di benzina e qualche chilo di pane . Il prezzo dei beni di prima necessità è altissimo. Fino ad oggi il regime ha mantenuto a 75 centesimi di dollaro al litro prezzo del carburante, ma sempre più persone sono costrette a rifornirsi al mercato nero, dove i costi sono anche dieci volte superiori. Anche il pane è un bene sempre più raro. La popolazione può "scegliere" fra quello standard che costa circa 16 centesimi di dollaro, ma è poco nutriente, e quello "turistico" pagandolo però a prezzi anche quattro volte superiori. Per una bombola di gas occorre attendere anche due settimane e il costo si aggira intorno ai 7 dollari. I mesi invernali hanno portato miseria e sofferenza anche fra le famiglie più ricche. Molte persone sono morte per il gelo. Per riscaldarsi la gente ha tagliato gli alberi dei parchi pubblici e sacrificato il mobilio. 

 

Fonti locali sostengono che la situazione sia ancora peggiore nelle aree sotto il controllo dei ribelli, dove tutto è gestito dal mercato nero. Nelle aree controllate dai ribelli la situazione è ai limiti della sopravvivenza. Nel campo di Kherbet al-Khaldiyé nella provincia di Aleppo la popolazione, formata soprattutto da donne, anziani e bambini non ha nulla da mangiare. "Stiamo strappando le erbe dai campo - afferma Naida, 35 anni e madre di sette figli - menta, viola, e le cuciniamo. Non abbiamo altro da mangiare". La donna racconta che nel campo gli aiuti non arrivano che poche volte al mese. "Una volta ci hanno portato un chilo di patate - racconta - ma doveva bastarci per più di un mese. Dovevamo sopravvivere con una patata a testa a settimana". Muhannad Hadi, responsabile del Programma alimentare mondiale (Pam ) sottolinea che sul territorio siriano è quasi impossibile poter muovere gli aiuti. I magazzini sono spesso al centro del fuoco incrociato fra regime e ribelli. La situazione è particolarmente critica nelle aree di conflitto. Alcuni gruppi di opposizione controllano le aree dove il Pam riesce ad avere accesso e dove milioni di persone hanno bisogno di cibo. I ribelli controllano i magazzini e hanno anche preso in gestione alcune dighe per l'acqua potabile. Molti profughi sono costretti a bere dalle pozzanghere per lavarsi e dissetarsi. Nonostante l'economia devastata, la maggior parte degli analisti sostiene che il regime potrà sopravvivere per almeno un altro anno. Fino ad ora Assad ha sfruttato i circa 17 miliardi di dollari accumulati durante il boom petrolifero degli anni '90, che però sarebbero esaurite. Il presidente avrebbe ancora circa 4,5 miliardi di dollari che consentirebbero di bilanciare le perdite frutto delle sanzioni della comunità internazionale, che ammontano a circa 400 milioni di dollari al mese.

 

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dom

12

mag

2013

Crisi, giovani in fuga dall'Italia

Dati dell'Aire: boom di emigrati nel 2012: +30% 

Boom dell’emigrazione dall`Italia nel 2012: secondo i più recenti dati dell`Anagrafe della popolazione Italiana Residente all`Estero (Aire), lo scorso anno l'emigrazione dalla Penisola ha fatto registrare un +30,1%, passando dai 60.635 emigranti del 2011 ai 78.941 del 2012. In maggioranza si tratta di uomini: 56%, contro il 44% di donne. Sostanzialmente in linea con i dati generali la fascia dei più giovani (20-40 anni), cresciuta in un solo anno del +28,3%. I 20-40enni italiani emigrati sono passati dai 27.616 espatri del 2011 ai 35.435 del 2012, alimentando quella che viene ormai definita "la fuga dei talenti" dalla Penisola (che ha costituito lo scorso anno il 44,8% del flusso totale di espatrio). Anche in questo caso prevalgono gli uomini (57%), sulle donne (43%), come pure prevale la fascia 30-40enni (20.650 espatri) su quella 20-30enni (14.785). I trentenni si confermano quindi la fascia d`età più propensa all`espatrio. 

A livello generale, la Lombardia si rivela la regione che maggiormente alimenta l`emigrazione dall`Italia: ben 13.156 lombardi hanno trasferito la propria residenza all`estero nel 2012, davanti ai veneti (7456), ai siciliani (7003), ai piemontesi (6134), ai laziali (5952), ai campani (5240), agli emiliano-romagnoli (5030), ai calabresi (4813), ai pugliesi (3978) e ai toscani (3887). 

Il 62,4% degli emigrati nel 2012 ha scelto l`Europa come Continente di destinazione (per un totale di 49.307), seguita dall`America Meridionale (14.083), dall`America Settentrionale e Centrale (7977) e da Asia-Africa-Oceania (7574). Per Paesi, la Germania è la prima méta di destinazione (10.520 italiani l`hanno scelta), seguita da Svizzera (8906), Gran Bretagna (7520), Francia (7024), Argentina (6404), USA (5210), Brasile (4506), Spagna (3748), Belgio (2317) e Australia (1683).
 

La regione primatista nell`espatrio dei 20-40enni si conferma la Lombardia, con 6111 emigrati, seguita dal Veneto (3277) e dalla Sicilia (3110). Quarto il Piemonte (2718), quinto il Lazio (2542), sesta la Campania (2421), settima l`Emilia-Romagna (2195), ottava la Puglia (2036), nona la Toscana (1711), decima la Calabria (1693).
 

Il Continente preferito dai 20-40enni italiani quale destinazione di approdo resta l`Europa, che nel 2012 ha assorbito ben il 69,2% del flusso di espatri degli under 40 (24.530 emigrati). A seguire l`America Meridionale (4837), l`America Settentrionale e Centrale (3110), e Asia-Africa-Oceania (2958). Nello specifico dei Paesi, la Germania si conferma la nazione più attrattiva nei confronti dei giovani italiani tra i 20 e i 40 anni: nel 2012 si sono trasferiti in terra tedesca 5137 di loro. Al secondo posto la Gran Bretagna (4688), seguita dalla Svizzera (4103). Quarta la Francia (2946), sesti gli USA (2192), settima la Spagna (2081), ottava l`Argentina (2058), nono il Brasile (1768), decimo il Belgio (1012).
 

Sono 2.320.645 gli italiani complessivamente espatriati dal Paese a partire dall`1/7/1990, 595.586 dei quali appartenenti alla fascia 20-40 anni. Il dato non ha mai smesso di crescere a partire dal 2006, quando il loro numero superava di poco i due milioni.
 

L`incremento degli espatri nel 2012 (+30,1%) rappresenta un vero e proprio boom, mai verificatosi nei precedenti sei anni: la crescita più forte si era infatti registrata nel 2008 (76.088 espatri, +10% sull`anno precedente). Neppure nella fascia 20-40 anni, la più giovane e produttiva, si era mai registrato un incremento così spettacolare: anche qui il record era riconducibile al 2008, con un +12% rispetto al 2007.
 

Gli italiani complessivamente residenti all`estero al 31 dicembre 2012 ammontavano a 4.341.156, in crescita di 132.179 unità rispetto all`anno precedente.
 

 

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dom

12

mag

2013

Amhed, il combattente siriano di 8 anni

In Africa c’è la piaga dei ‘bambini soldato’, ad Aleppo li chiamano ‘combattenti’

di Patrizio Ricci

Il quotidiano britannico ‘The Telegraph’ ha diffuso, come tutte le principali testati on line,
 un video in cui, tra le rovine di Aleppo, nel quartiere Salahedddin, un bambino parla, seduto tra due ribelli siriani armati (uno è suo zio): un colpo di mortaio ha ucciso suo padre (combattente a seguito dell’Esercito Siriano Libero) e tutto il resto della famiglia. Amhed ha 8 anni; sigaretta in bocca e fucile AK7 in braccio, risponde alle domande e spiega: "Ho finito per aiutare mio zio ed i suoi compagni perché non ho altra scelta, non c'è scuola, la mia famiglia è morta, che scelta ho?". 





Di fronte a questa vicenda i media italiani (compresi quelli cattolici) si sono mostrati come rassegnati all’ineluttabilità dei fatti: i commenti sono stati univoci e in quelle immagini di bambino ‘combattente’ hanno visto solo la ‘spavalderia della giovinezza, la vulnerabilità giovanile e la tristezza delle guerre che costringe i bambini a crescere troppo presto’. E’ una spiegazione che non convince e alla quale, come uomini, non possiamo rassegnarci. Ci vuole un giudizio chiaro: bisogna dire forte che esiste una terza via ed è quella del bene. Papa Francesco l’ha gridato forte nel messaggio pasquale rivolto alla Siria: “Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?”. Il messaggio del Santo Padre non è rivolto ai soli religiosi: è l’unico criterio ragionevolmente valido per la salvezza di Amhed e per la Siria. Per quel paese oltraggiato si dovrebbe usare la stessa tenerezza che si usa per un bambino, anzi per un bambino orfano (a chi ha visto solo brutture ed ha perso entrambi i genitori non metti in mano una granata come nel filmato e non dici di sparare ad altri uomini).
 

Si tratta di cose semplici da comprendere, persino banali: è possibile allora che il Thelegraph e gran parte dei principali media italiani si siano dimenticati di come ci si prende cura di un bambino e si siano allineati alle giustificazioni della guerriglia? Improponibile riportare di ‘sana pianta’ esclusivamente le giustificazioni fornite dai ribelli: “I bambini sono usati solo per fare il tè, per i rifornimenti, per contrabbando e compiti logistici”. E’ noto che i dati sono di altro segno: secondo un recente rapporto di Human Right Watch, sono centinaia i bambini al di sotto dei 14 anni addestrati dall’opposizione armata e inviati a combattere. E’ prassi conosciuta, ma ‘silenziata’: la guerra non si combatte solo sul campo di battaglia ma purtroppo coinvolge (consapevolmente o inconsapevolmente) anche l’informazione, spesso usata per formare un’opinione pubblica favorevole alle decisioni dei governi.
 

Non è stato detto, ma bisogna dirlo e chiaramente: usare i bambini sul capo di battaglia è un crimine di guerra. Usare bambini al di sotto dei 18 anni è proibito dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, nonché dalla risoluzione 1261 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che accoglie interamente lo Statuto della Corte Penale Internazionale, secondo cui “è un crimine di guerra la coscrizione e l’arruolamento di bambini di età inferiore di 15 anni o la loro utilizzazione per la partecipazione attiva alle ostilità, sia in conflitti armati interni che internazionali e sia che essi vengano impiegati da eserciti regolari o da milizie armate”. Questo vuol dire che di fronte alla legge internazionale chi ha messo le armi in mano ad un bambino ha compiuto un reato perseguito severamente dalla giustizia internazionale. Al cospetto di un bimbo che di fronte alla violenza ed all’omicidio dice ‘non ho scelta’ un uomo adulto che tace, o addirittura insegna solo la via della vendetta , è colpevole di ‘disumanità’.

In Siria esempi di pace e metri di terra redenta e riconciliata ci sono ancora e sono esempi a cui guardare (come i maristi e le suore carmelitane di Aleppo); sono tutte quelle realtà che offrono, pur con sempre con maggiore difficoltà, aiuto e sostegno ai profughi ed ai bambini come Amhed. Ci siamo informati direttamente con il Vicariato cattolico di Aleppo e abbiamo appreso che nella città la ‘Casa di Gesù operaio’ accoglie molti orfani e vittime di questa guerra fratricida; sono realtà che i governi occidentali (presi soprattutto a fomentare ulteriormente la guerra) dovrebbero sostenere direttamente e che dimostrano che un’altra via è sempre possibile. Abbiamo bisogno di simili esempi di carità e umanità nuova: non è vero che lo scempio e la rovina siano inevitabili. Anche un bambino orfano può trovare nuovi padri, se questi padri guardano ad una speranza più grande della vendetta e della sopraffazione. A molti, anche qui da noi, sembra essere sfuggito.

 

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dom

12

mag

2013

Egitto: tensioni tra cristiani e gruppi islamici, sei morti in tre giorni

Quattro copti e un musulmano uccisi da armi da fuoco a Khosous. Gli imam hanno incitato alla violenza contro i cristiani. Bruciati un asilo e case di cristiani. Ai funerali nella cattedrale di san Marco, un gruppo attacca il corteo funebre con molotov e pietre. Morsi e al-Azhar condannano le violenze. La polizia quasi assente. I cristiani accusano il governo di non garantire alcuna sicurezza per la minoranza.



 

 

minoranza.  

Il Cairo (AsiaNews) - Cresce la tensione fra gruppi di cristiani e musulmani dopo l'uccisione di quattro fedeli copti e di un musulmano nel quartiere di Khosous. Ai funerali delle vittime cristiane, tenutisi ieri nella cattedrale di san Marco al Cairo, un altro cristiano è morto e almeno 80 sono rimaste ferite, dopo l'attacco del corteo funebre da parte di gruppi non identificati. 
Tutto è iniziato il 5 aprile scorso a Khosous, nella periferia del Cairo. La scintilla che ha fatto scoppiare gli scontri fra cristiani e musulmani è la scritta con la svastica
 segnata sul muro di una sede islamica, che i musulmani hanno attribuito ai cristiani. Alcuni edifici della comunità cristiana sono stati incendiati e sono stati sparati dei colpi. Quattro cristiani sono stati uccisi insieme a un musulmano. 

Secondo un sacerdote copto di Khosous,
le violenze hanno radice in una disputa fra una famiglia musulmana e una cristiana che durava da tre mesi. Il problema è stato risolto, ma pochi giorni fa un gruppo di salafiti ha minacciato uan donna cristiana. Padre Suriel, della chiesa di Mar Girgis, afferma che "alcuni imam hanno incitato la folla contro i copti e la chiesa durante gli incontri in moschea", dando luogo agli attacchi e agli scontri. Gruppi col volto coperto hanno anche bruciato l'asilo di Mar Girgis, una chiesa battista e diversi negozi di cristiani.
 

 

 

Secondo testimoni, le truppe di sicurezza sono arrivate molto tardi e gli scontri sono avvenuti alla loro presenza. I quattro cristiani uccisi sono Marsouq Atteya, Morkos Kamal, Victor Manqarios e Essam Zakhary. Tutti sono stati colpiti da fucili automatici in faccia, al cuore, al capo e nelle spalle. I proiettili sono stati sparati dall'alto verso il basso. 

Ai funerali di ieri nella cattedrale di san Marco, i presenti hanno cominciato a scandire slogan contro il presidente Morsi per la mancanza di sicurezza. All'uscita della chiesa, il corteo funebre è stato assaltato da gruppi sconosciuti con pietre e bottiglie molotov. I fedeli hanno risposto lanciando sassi a loro volta. Negli scontri un cristiano è stato ucciso. Un edificio della chiesa ha preso fuoco, ma l'incendio è stato spento. Al funerale era presente poca polizia, venuta in seguito in forza, fermando gli scontri e usando lacrimogeni. Ma sporadici incidenti sono continuati anche lungo la notte scorsa.
 

Il presidente Mohamed Morsi ha telefonato al patriarca copto Tawadros II per esprimere la sua solidarietà. "Ogni attacco contro la cattedrale - ha dichiarato - è come un attacco contro la mia persona". Il patriarca copto ah esortato alla calma. Il partito dei Fratelli Musulmani ha chiesto a tutti di "rifiutare e condannare la violenza".
 

Il grande imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb ha denunciato gli scontri e inviato suoi rappresentanti nella zona per calmare la situazione. Tayyeb ha detto che proteggere l'Egitto dalle violenze settarie e dal razzismo è un dovere religioso e nazionale perché "il sangue di tutti gli egiziani è prezioso".
 

Ma secondo alcuni sacerdoti, sotto il governo dei Fratelli Musulmani, la situazione dei cristiani è peggiorata e la minoranza cristiana accusa il governo di Morsi di non proteggere a sufficienza la loro
 

 

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dom

12

mag

2013

Afghanistan, nuovi attacchi contro i civili

A seguito di una nuova serie di attacchi contro la popolazione civile dell'Afghanistan, Amnesty International ha rinnovato la richiesta a tutte le parti in conflitto di prendere tutte le precauzioni necessarie per evitare perdite civili.  


Amnesty - Il 3 aprile 2013, un attacco contro un edificio pubblico nella provincia di Farah ha causato almeno 41 morti e oltre 100 feriti. A rivendicarlo sono stati i talebani, che in precedenza si erano pubblicamente impegnati a ridurre le perdite civili. Il 6 aprile, almeno 12 civili tra cui 10 bambini sono stati uccisi nella provincia di Kumar in un attacco aereo della Nato. Il 7 aprile, nella provincia di Wardak, un autobus ha urtato una mina ed è esploso, causando almeno nove morti e 20 feriti. Si ritiene che l'attacco sia stato compiuto dai talebani. Secondo la Missione Onu d'assistenza in Afghanistan, nel 2012 i civili uccisi nel corso del conflitto sono stati 2754. Le forze afghane e quelle internazionali sarebbero responsabili dell'otto per cento di queste morti. Amnesty International ha chiesto alle forze Nato/Isaf di indagare su tutte le denunce relative a civili uccisi a seguito delle loro operazioni, di processare i responsabili, fornire risarcimenti alle famiglie delle vittime e individuare, prima del ritiro dall'Afghanistan, meccanismi efficaci di accertamento delle responsabilità. 

 


Amnesty International ha ulteriormente chiesto che la Corte penale internazionale avvii un'indagine contro coloro che sono sospettati, in ogni parte coinvolta nel conflitto, di crimini di guerra e crimini contro l'umanità.



I talebani sono chiamati in causa per 2179 vittime tra la popolazione civile, soprattutto a causa di ordigni esplosivi improvvisati o di attacchi mirati contro i civili.
 

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dom

12

mag

2013

Violenze al Cairo, Papa coopto denuncia negligenza del governo

“Negligenza” e “valutazione errata dei fatti”: sono le accuse mosse oggi al governo dei Fratelli musulmani da Tawadros II, Papa della Chiesa copta d’Egitto, dopo l’aggressione subita domenica dai fedeli che avevano partecipato a una cerimonia funebre nella cattedrale di San Marco al Cairo. 

 

 

Misna - “Il presidente Mohammed Morsi – ha detto Tawadros II in un’intervista concessa all’emittente Ontv – aveva promesso di fare tutto il possibile per proteggere la cattedrale, ma questo nella realtà non l’abbiamo visto”. Secondo il Papa copto, “servono azioni e non parole” perché “la Chiesa egiziana non è mai stata oggetto di attacchi del genere nemmeno nei periodi peggiori”. Nell’assalto di domenica, seguito prima che intervenisse la polizia da una vera e propria battaglia a colpi di pietre e bastoni, sono state uccise due persone e altre 89 sono state ferite. Le violenze sono cominciate subito dopo la conclusione di una cerimonia funebre per quattro cristiani uccisi nel corso di disordini scoppiati a Khosous, una cittadina situata circa 15 chilometri a nord del Cairo. 


Dirigente del movimento dei Fratelli musulmani, Morsi è divenuto presidente nel giugno scorso grazie ad elezioni definite le prime democratiche nella storia dell’Egitto contemporaneo. Nel paese i cristiani costituiscono una minoranza stimata in circa il 10% su una popolazione di 84 milioni di abitanti.

 

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dom

12

mag

2013

Repubblica Centraficana: «Abbiamo perso tutto, anche la speranza»

 

«Alle 7.55 della domenica delle Palme siamo stati sorpresi dal rumore assordante delle mitragliatrici. Non hanno più smesso di sparare per tre giorni». 

 

Domenica 24 marzo, mentre la coalizione ribelle Seleka marciava su Bangui e costringeva alla fuga il presidente François Boizizé, monsignor Juan José Aguirre Muňoz si trovava proprio nella capitale della centrafricana. Il missionario comboniano e vescovo di Bangassou – nel sud-est del Paese africano – racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre che l’abitazione in cui alloggiava era proprio accanto al palazzo presidenziale e quindi «al centro dell’azione». «Ho visto anche dei membri della coalizione entrare nella cattedrale poco dopo il termine della messa. I ribelli hanno sparato contro il soffitto e costretto i fedeli a consegnare loro le chiavi delle auto e delle motociclette». Terrorizzati, tutti i presenti hanno cercato di ripararsi con i rami delle palme che avevano portato in Chiesa per la benedizione. «I bambini piangevano, ma i ribelli non hanno mai smesso di sparare se non quando tutte le chiavi sono state loro consegnate». 


A Bangassou, la diocesi guidata da monsignor Aguirre, la Seleka è arrivata lo scorso 11 marzo. Non è stato difficile per i ribelli sconfiggere i pochi soldati rimasti in città. Il numero di proprietà e veicoli rubati – anche appartenenti alla Chiesa e ai vari ordini religiosi - è altissimo e il presule riferisce di aver letto il suo nome in cima a una lista composta di persone che la coalizione intende colpire. «I missionari spiritani (Congregazione dello Spirito Santo, ndr.) – racconta – si sono rifugiati nelle case di amici e fedeli, dopo che per due notti consecutive erano stati svegliati dal rumore di asce e machete». I furti sono all’ordine del giorno e i ribelli hanno provato anche a rapire alcune religiose. «I saccheggi continuano senza sosta. La popolazione è terrorizzata, ma non vuole fuggire. Ha scelto di rimanere e di provare a difendere quel poco che è rimasto». Le violenze non hanno risparmiato le festività pasquali. Venti ribelli hanno occupato il villaggio di Rafai e la missione locale. A Tokoyo, invece, non è rimasta né un’auto né una moto per servire le quaranta cappelle dell’area. «Uno dei nostri sacerdoti, padre Bakouma, ha camminato per 60 kilometri fino a raggiungere il villaggio in cui celebrare la messa di Pasqua».
 

Con l’arrivo della Seleka, per la Chiesa e i missionari si apre un nuovo capitolo di una lunga storia dolorosa. «Da oltre vent’anni il Paese è dilaniato da una guerra civile che lo ha reso la seconda nazione più povera al mondo. Abbiamo assistito a tante atrocità e ora abbiamo perso tutto, anche la speranza». Dal 2002 ad oggi Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sostenuto 240 progetti nella Repubblica Centrafricana, per un totale di circa 2 milioni e mezzo di euro. Tra le principali aree d’intervento: intenzioni di messe per i sacerdoti, aiuti alla pastorale, borse di studio e finanziamenti per la costruzione di chiese ed edifici religiosi

 

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dom

12

mag

2013

Liaoning, abusi contro le donne nei campi di lavoro forzato

La polizia imprigiona anche donne incinte e disabili. Orari di lavoro fino a 14 ore. Negate cure mediche a malate di cancro. Il Partito discute sull'eliminazione dei laojiao (o sulla sua riforma). Un'inchiesta del governo del Liaoning. Hong Kong.

 

 

(AsiaNews) - Donne gestanti o disabili costrette a lavorare come tutte le altre per 14 ore al giorno; minacciate di battiture o torture; costrette a vivere in luoghi in luoghi senza igiene; speso obbligate ad essere incatenate ai loro letti: è quanto rivela il diario segreto di una donna internata in un laojiao (campo di rieducazione attraverso il lavoro) del Liaoning, e precisamente il Masanjia. Il diario ha potuto sfuggire al controllo delle guardie e circola su internet. L'autrice era stata internata per aver presentato delle petizioni ed è uscita dal campo di lavoro forzato lo scorso febbraio. Il diario mostra gli abusi legati a questo tipo di detenzione decisa dalla polizia in modo arbitrario, con la scusa di "mantenere la stabilità". Esso racconta che le donne sono costrette a spiarsi l'una con l'altra e che alle detenute non si dà cibo sufficiente, né cure mediche. Alcune persone che soffrivano di cancro non hanno ricevuto alcun trattamento. Dallo scorso novembre, quando Xi Jinping è divenuto segretario del Partito, i quadri discutono sulla eliminazione di questo tipo di detenzione, condannato dall'Onu, contrario alla costituzione cinese, ma praticato fin dai tempi di Mao Zedong. La società civile rimane scettica che il Partito sia capace di questo passo di civiltà. Ad ogni modo, il dibattito interno è forte: ne è segno il fatto che alcuni passi del diario sono stati pubblicati da alcuni siti governativi, ma poi scomparsi. Il governo provinciale del Liaoning ha però deciso di aprire un'inchiesta sugli abusi nel campo di Masanjia e ha promesso che pubblicherà i risultati.

 

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dom

12

mag

2013

Egitto, esercito accusato di torture durante la rivoluzione

L’esercito aprì il fuoco e torturò un numero imprecisato di attivisti durante le rivolte di piazza che nel 2011 portarono alla caduta del regime di Hosni Mubarak: a sostenerlo è un rapporto sottoposto al presidente Mohammed Morsi all’inizio dell’anno e di cui ampi stralci sono stati pubblicati oggi in esclusiva dal quotidiano britannico The Guardian.  

 

 

Misna - Il presunto coinvolgimento dei militari – che per tutta la durata delle rivolte hanno rivendicato la loro “neutralità” addossando alle forze di polizia la responsabilità di abusi e torture – è denunciato in un momento in cui le tensioni tra le diverse parti politiche e sociali in Egitto sono già al limite. Il documento pubblicato dal Guardian accusa l’esercito di una serie di violazioni dei diritti umani durante i 18 giorni di proteste di piazza che portarono alle dimissioni di Mubarak; nel testo sono contenute per altro testimonianze relative alla presenza di civili fermati ai posti di blocco e successivamente scomparsi. 

 

Altre testimonianze raccontano di civili detenuti e torturati nei pressi del Museo egizio a Piazza Tahrir, i cui corpi senza vita sare
bbero stati trasportati all’obitorio.
 

A redigere il rapporto sarebbero stati esperti, tra cui avvocati per i diritti umani, che hanno sottolineato l’atteggiamento “non collaborativo” riscontrato tra le forze dell’ordine durante le indagini. Il documento, presentato a Morsi in gennaio, non è mai stato reso pubblico.
 

La commissione avrebbe chiesto al governo di mettere sotto inchiesta i vertici dell’esercito per le violazioni dei diritti umani, ma Morsi – che è anche capo supremo delle Forze armate – non ha finora aperto alcun procedimento.

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dom

12

mag

2013

Un’onda lunga amara

Vista dall’estero, con gli occhi dei nostri emigranti italiani, questa sembra essere una triste scena: la parabola della nostra Italia

 

 

di Renato Zilio, corrispondente da Londra

Sembra di trovarsi proprio sotto la croce del Cristo, mentre i soldati romani giocano a dadi per prendersi a sorte la tunica. Si sta consumando una tragedia e chi ha responsabilità discute d’altro. Così, da lontano, sembra la nostra terra. Discutere, parlare d’altro o parlare semplicemente attorno ad un problema pare essere tipico della nostra cultura. Non quello di risolverlo. Di mettersi all’opera. Ricordo anni fa in Francia, mentre in patria si facevano conferenze sulla famiglia e la sua importanza, lì ad ogni passo della vita quotidiana si poteva osservare qualcuno con un tesserino “magico” con scritto “famille nombreuse” (da tre figli in su), per avere tutte le facilitazioni del caso. Stupiva constatare come una società laica in qualsiasi istante fosse così concretamente sensibile alla famiglia. Buddha presenta un esempio eloquente del suo cammino religioso quando parla di un guerriero colpito da una freccia: questi si concentra ad estrarre la freccia che lo ha ferito, non a perdere tempo nel chiedersi da dove viene, chi l'ha tirata, com'è fatta, di che tribù porta i colori. È l’agire che risolve e fa avanzare.

 

Oltre a questa divaricazione tra il dire e il fare, per uno sguardo da fuori ne esiste un’altra ben più particolare. È una logica sotterranea, una dinamica, un’onda lunga. Ed è il preferire ormai da molti anni dinamiche di morte, piuttosto che quelle di vita. Negli occhi di molti di noi all’estero si legge appunto un interrogativo come questo: “Ma dove va a sbattere la nostra bella Italia?!”. Paradossalmente è ferma, inceppata, sotto i più differenti profili. Se ne può affastellare agevolmente qualcuno. Da anni ormai avere una famiglia numerosa è considerato un problema, ci si riduce spesso a un solo figlio. Si costata poi statisticamente il fenomeno della denatalità, quando i morti superano i nati. Senz’altro questa non è una dinamica di vita per un Paese. Una terra culla dell’arte e della classicità si vede ultimamente piazzata agli ultimi posti in Europa nel sostenere questo aspetto congeniale e tipico della nostra cultura. Non si coltiva e non si accompagna la nostra genialità, il nostro stesso talento. In tantissimi campi o settori tra efficienza o apparenza generalmente viene preferita la seconda. Che le cose, le realtà, le istituzioni funzionino non interessa molto, almeno in varie parti d’Italia.

Se poi si osserva, con uno sguardo da fuori, come venga affidata la cosa pubblica in questi ultimi vent’anni a chi ama erigere a sistema la regola d’oro “fare i propri interessi”, si può intuire dove porti questa dinamica amara. Tutto si vende, tutto si compra. Anche le persone diventano merce, perfino i parlamentari. Ultimamente un’altra forza politica giovane – che ha captato e concentrato la disperazione della nostra gente - sembra giocare con un atteggiamento di inconclusione, di isolamento, di autosufficienza. Sembra continuare inutilmente quella “pars destruens”, incapace di impegnarsi nella parte complementare e successiva, come spiegava il filosofo Bacone, la “pars costruens”. Sì, un raffinato francese, quando vivevo in Francia, qualora si parlasse di italiani usava ripetere come un ritornello: “Ah les Italiens!... teatranti... commedianti...” Faceva sorridere, amaramente.

In questi mesi migliaia di giovani italiani vengono all’estero o piovono a Londra in cerca di fortuna. Ci si chiede come una nazione possa prendersi il lusso infelice di preparare per anni un diplomato o un laureato e poi vederselo partire alla disperata per entrare semmai nel mercato altrove. Così perfino l’Australia e la Nuova Zelanda, terre lontanissime, incantano i nostri giovani. Sono decisamente dinamiche di morte che un Paese imbocca.

Marcello, invece, siciliano, da quarant’anni a Londra, spontaneamente vi confessa: “Ogni volta che sono in Italia devo litigare... Vado a comperare un pacchetto di sigarette e stanno chiaccherando... scusa potete smettere e venirmi a servire?!” gli tocca sbottare dopo un po’. Forse, in fondo, è questo che è scomparso da noi: il senso dell’altro. Il senso degli altri. Il valore di una comunità. Esiste solo il mio io e tutta la libertà possibile.

Da poco, poi, è arrivato da lontano un nuovo papa. Pare aggiungersi al nostro popolo come quello straniero che si aggiunse ai due discepoli di Emmaus nel loro cammino. E, come allora per loro, ci fa capire la nostra storia, ci fa rileggere insieme il nostro percorso. Ricordando, per esempio, quanto è grande aver avuto proprio tra di noi il più bello dei figli di Assisi, Francesco. Quanto è vera la testimonianza di una Chiesa povera che si dedica ai poveri. Abbiamo adorato, invece, per anni il denaro, tanto da diventare il nostro idolo. Il centro dei nostri discorsi. Il cuore dei nostri interessi.

Preferire continuamente dinamiche di morte a quelle di vita significa togliersi la vita con le proprie stesse mani. Un istinto suicidario per un Paese. Forse non lo si è ancora capito, commentava giorni fa un emigrato italiano, forse non si è ancora toccato il fondo. Capire, così, la triste verità di questi anni e la zavorra di ogni genere che ci impedisce di cantare con un indimenticabile Modugno: “Volare!”

 

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dom

12

mag

2013

Papa Francesco ai senza dimora di Roma: pregate per me, sono a vostra disposizione

 

“Vi ringrazio per il vostro gesto di vicinanza e di affetto. Il Signore vi ricompensi abbondantemente”. 

 

Radio Vaticana - Così, Papa Francesco ha voluto salutare gli Ospiti dei Centri della Caritas di Roma con una lettera inviata al direttore, mons. Enrico Feroci. “Vi ringrazio – si legge nella lettera, pubblicata sul sito web della Caritas romana - anche perché pregate per me, e vi invito a continuare a farlo poiché ne ho molto bisogno. Sappiate che vi porto nel mio cuore e che sono a vostra disposizione”. Gesù, conclude, “vi benedica e la Santa Vergine vi protegga. Fraternamente, Francesco”. Il Santo Padre saluta dunque così i senza fissa dimora che, sempre attraverso mons. Feroci, gli avevano inviato lo scorso 27 marzo un messaggio di benvenuto. La lettera era stata consegnata al Santo Padre personalmente dal direttore della Caritas, durante un incontro di Papa Francesco con alcuni sacerdoti romani al termine della Messa Crismale.

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dom

12

mag

2013

La tribù più povera del Nepal rinasce grazie a una scuola cattolica

Per decenni i Chepang hanno vissuto di stenti nelle foreste del distretto di Chitwan (Nepal centrale). Dal 2011 una scuola cattolica istruisce i bambini e offre opportunità di lavoro per gli adulti. Leader tribale: "La nostra gente è pronta a votare un cattolico se si candiderà alle elezioni per l'Assemblea costituente".

AsiaNews - "I cattolici hanno acceso una luce di speranza nella nostra vita". È qua nto afferma ad AsiaNews Govinda Bahadur, membro dell'etnia tribale Chepang e leader della Nepal Chepang Association (Nca). "Per decenni - racconta - noi e i nostri figli abbiamo vissuto al buio, dimenticati da tutti. Per noi era impossibile mandare i nostri figli a scuola. Nel 2011 i cattolici hanno aperto un istituto per la nostra tribù e da allora la nostra esistenza è cambiata". Fondata il 12 novembre 2011, la Navodaya School ospita centinaia di studenti. L'istituto è stato realizzato grazie al contributo di associazioni locali e straniere. Fra i donatori anche diverse associazioni italiane fra cui il Centro di Cooperazione Sviluppo Italia (CCS Italia).

 


Oltre ad educare i bambini, la scuola sostiene le famiglie aiutandole nella ricerca del lavoro e sviluppando progetti per piccole aziende agricole. In vista delle elezioni dell'Assemblea costituente, programmate per giugno, tutti i Chepang sono pronti a dare il loro voto a un cattolico se essi presenteranno dei candidati. Molti partiti stanno visitando le aree più remote del Paese, cercando di accaparrarsi i voti delle minoranze etniche, per poi dimenticarsi di loro una volta eletti. Siddha Bahadur, del villaggio di Siddhi, dice che nel 2008 ha votato per i maoisti, ma "una volta saliti al potere tutto quello che avevano promesso non si è mai realizzato". Per Bhakta Bahadur Chepang di un abitato vicino a Siddhi, aggiunge che "la comunità spesso non ha cibo, vestiti adeguati, elettricità, acqua.

Nessuno si è mai curato di noi in questi anni. Solo i cattolici hanno dato un aiuto alla nostra gente". Concentrati nel distretto di Chitwan nella regione di Madhyamanchal (Nepal centrale) i Chenpang sono uno dei 59 gruppi indigeni presenti in Nepal. La popolazione è di circa 52mila persone ed è di religion indù e buddista. Le comunità vivono in aree inaccessibili a 1200 metri di quota, lontane dai centri abitati e dalle vie di comunicazione. La loro principale fonte di sostentamento è la foresta e i suoi prodotti. Negli anni solo poche famiglie hanno abbandonato la vita nomade, trovando lavoro come braccianti agricoli. Purtroppo, a causa della morfologia del territorio e il clima della regione e i raccolti sono sufficienti solo per sei mesi. Per il resto dell'anno i Chepang si cibano di frutti spontanei, pesca e selvaggina. Spesso i bambini aiutano i genitori nella campagne e non possono andare a scuola, oltre il 70% abbandona la scuola.

 

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dom

12

mag

2013

Appello agenzie Onu: fermate il massacro

Fermare “le crudeltà e carneficine” in corso in Siria: è l’appello congiunto che cinque organismi delle Nazioni Unite hanno rivolto alla comunità internazionale. In una nota comune i rappresentanti di Unicef, Oms, Ocha, Pam e Unhcr hanno criticato quello che definiscono uno “scarso senso di urgenza da parte dei governi e le parti che potrebbero contribuire a porre fine alle crudeltà e carneficine in atto”.

 

Misna - I firmatari riconoscono che “i bisogni aumentano notevolmente” e che l’assistenza umanitaria “non riesce neanche lontanamente a soddisfare le esigenze dei civili in fuga o intrappolati nel conflitto”. Inoltre le agenzie sottolineano di non stare chiedendo fondi “che pure sarebbero necessari”, ma “un’azione concreta per aiutare il popolo siriano e salvare l’intera regione dal disastro”. Intanto in Siria, il presidente Bashar al Assad ha decretato un’amnistia generale per i crimini commessi prima del 16 aprile 2013 che commuta le sentenze alla pena capitale in ergastolo e lavori forzati. Il decreto– precisa l’agenzia stampa Sana, non si applica ai reati di contrabbando, insubordinazione e e detenzione di stupefacenti. Dall’inizio della rivolta contro il governo di Damasco nel marzo 2011 – degenerata in guerra civile che ha finora causato migliaia di morti – il presidente ha approvato diverse amnistie. Sono ancora decine di migliaia tuttavia, secondo le associazioni per i diritti umani, i detenuti nelle carceri del paese. Dal canto suo, l’opposizione denuncia nuovi bombardamenti su diversi quartieri di Damasco e l’uccisione di civili tra cui bambini. Tra le zone colpite, secondo l’Osservatorio per i diritti umani con sede a Londra, ma che gode di una fitta rete di contatti tra medici e attivisti, ci sono i quartieri di Qaboon e Jobar, a nord-est della capitale, non lontano dalla piazza Abasseyeen.

 

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dom

12

mag

2013

Mali: jahadisti in fuga, pericolo anche per i paesi vicini

Rappresentano un pericolo per la sicurezza dei paesi confinanti i jihadisti e miliziani dei diversi gruppi armati in fuga dal nord del Mali. 

 

Misna - Secondo le informazioni raccolte dai servizi di sicurezza statunitensi, ma anche ad informative Onu alcuni di loro sarebbero passati ad est verso il nord del Niger, per poi transitare in Ciad e raggiungere la Libia. Dall’estremo nord del Mali altri gruppi avrebbero varcato i confini con l’Algeria per arrivare fino al Sahara Occidentale, dove si sarebbero infiltrati nei campi sahrawi. Ad ovest una terza rotta li avrebbe portati allo sbando in Mauritania. 

“Ora la paura è che questi gruppi si stiano nuovamente organizzando e armando e possano ritornare nel nord del Mali per riprendere la lotta” ha dichiarato dal capoluogo settentrionale di Gao Ousmane Maiga, del coordinamento dell’Associazione giovanile. Nella situazione attuale ci sarebbero anche rischi concreti per il Sahara occidentale, territorio conteso dal 1975 tra il Marocco e il Fronte Polisario, sostenuto dall’Algeria. In un recente rapporto del segretario generale Onu Ban Ki-moon veniva evidenziato il rischio di una “radicalizzazione” del Polisario a causa della presenza di jihadisti nei campi sfollati, che farebbe del Sahara occidentale una “bomba a orologeria”.
 

 


Anche in Mali, il pericolo rappresentato dal Movimento per l’unità e il jihad in Africa occidentale (Mujao) e da altri gruppi armati, anche tuareg, non è ancora del tutto rientrato. Sacche di resistenza sono ancora presenti nelle città di Gao e Kidal, già colpite da attentati suicidi, scontri e guerriglia urbana da fine gennaio. Uno scenario che potrebbe evolvere negativamente dopo il ritiro annunciato dei soldati ciadiani e di quelli dispiegati da Parigi, mentre il Consiglio di sicurezza Onu deve ancora pronunciarsi sull’invio di una missione di peacekeeping.
 

Al di là degli sviluppi militari, il governo di transizione deve portare avanti un delicato processo di riconciliazione nazionale, in un paese diviso in due per diversi mesi. Critiche alla neo commissione nazionale di dialogo e riconciliazione sono arrivate dalla comunità nera Kel Tamasheqs o Bellah (‘la gente del Tamasheq’), cioè i tuareg neri che parlano la lingua tamasheq e chiedono di ottenere una rappresentanza. Secondo loro “nella sua composizione, la commissione non è inclusiva e ignora la voce di tutti quelli che subiscono umiliazioni, compresa la nostra comunità”. Pochi giorni fa critiche erano arrivate dal Collettivo degli abitanti del Nord (Coren) che diceva di “non riconoscersi in questa commissione”.
 

 

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dom

12

mag

2013

Alla maratona di Boston sono finiti i sogni di Dorothy Lu Lingzi

Diplomata a Pechino, era arrivata a Boston lo scorso settembre. Insieme ad altre due amiche stava partecipando alla maratona. Lu è morta; una delle amiche è ferita in modo grave; la terza è illesa. 

Hong Kong (AsiaNews) - È stata rivelata l'identità della vittima cinese rimasta uccisa nell'attentato alla maratona di Boston del 15 aprile scorso. Si tratta di Dorothy Lu Lingzi: brava in matematica, arrivata negli Stati Uniti lo scorso anno, sperava di prendere la laurea in statistica all'università di Boston e trovare lavoro come analista finanziario. Il suo sogno è finito il giorno della maratona. Lu era andata con altre due amiche studenti, Zhou Danling e Qian Tingting per parteciparvi, ma è rimasta vittima dell'esplosione; Zhou è rimasta ferita ed è all'ospedale, sottoposta a diverse operazioni chirurgiche. La terza, Qian, è rimasta illesa per miracolo. 

Gli amici e gli insegnanti ricordano Lu come una ragazza brillante negli studi e vivace, con capacità di leader.
 

La mattina della maratona, sul social network cinese Weibo aveva postato una sua foto mentre mangiava pane e verdure, col commento: "la mia meravigliosa colazione" (v. foto). 

Nel suo profilo su Facebook aveva detto di amare molto la Boston Symphony Orchestra.
 

Lu era andata a scuola a Shenyang (Liaoning), diplomandosi in economia e commercio internazionale all'Istituto di tecnologia di Pechino. Nel 2010 ha frequentato per tre mesi l'università di California, nella speranza di poter entrare in un corso di laurea. Lo scorso settembre era riuscita ad entrare nell'università di Boston per un master in matematica e statistica. Le mancava un corso per entrare nel programma di laurea.
 

Da ieri, davanti alla Marsh Chapel, gli studenti cinesi dell'università di Boston stanno raccogliendo firme e condoglianze da inviare ai parenti di Lu. Una studente di teologia, Meghan Nelson, ha voluto ricordare Lu lasciando un paio di scarpe da corsa, dei fiori e una catena davanti al memoriale di Martin Luther King.
 

 

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dom

12

mag

2013

Emergenza fame per un milione e mezzo di bambini nel Sahel

In soli 8 anni nel Sahel sono state registrate tre gravi carestie e la popolazione non ha avuto il tempo per riprendersi. 

Radio Vaticana - Secondo l’Ong internazionale Action Contre la Faim (Acf), circa 1,4 milioni di bambini della regione potrebbero morire per denutrizione severa e 10,3 milioni di persone rischiano insicurezza alimentare. La situazione risulta particolarmente grave in Mali dove una famiglia su cinque di Gao e Timbuctu rischia insicurezza alimentare severa, e in una famiglia su cinque della regione Kidal c’è un minore denutrito. Le scarse piogge e la guerra in corso nel paese hanno impedito a molti di prendersi cura dei raccolti in modo adeguato. Purtroppo ci sono ancora 450 mila maliani che non vogliono rientrare nelle loro case per paura e, il dramma dei rifugiati aumenta anche le necessità di risorse, cibo, acqua potabile, case e servizi basilari. Nel 2012, 18 milioni di persone hanno rischiato la denutrizione. (R.P.)

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dom

12

mag

2013

Devastante sisma in Sichuan. Oltre 70 morti e 600 feriti

Il bilancio delle vittime è ancora parziale. Le due forti scosse di magnitudo 6.6 e 7.0 si sono verificate questa mattina intorno alle 8,00 ora locale. 

 

Linqiong (AsiaNews) - L'epicentro è a circa 51 km a ovest della città di Linqionq. Il terremoto ha provocato frane, smottamenti e raso al suolo interi edifici. Panico anche nella megalopoli di Chongqing situata a diverse centinaia di chilometri a sud-est dal centro del sisma. Xi Jinping ordina alle autorità di fare ogni sforzo per soccorrere la popolazione colpita. E' di 72 morti e oltre 600 feriti il bilancio parziale delle due forti scosse di terremoto (magnitudo 6.6 e 7.0) che hanno colpito questa mattina fra le 8,00 e le 8,02 (ora locale) la provincia della Cina sud occidentale del Sichuan. L'epicentro del sisma è stato registrato a circa 51 km a ovest della città di Linqiong. A causa della poca profondità, circa 12 km, le scosse hanno provocato danni consistenti provocando frane e radendo al suolo abitazioni ed edifici pubblici. 

Il sisma ha scatenato il panico in diverse città a centinaia di chilometri di distanza dall'epicentro, compresa la megalopoli di Chongqing, a sud-est di Linqiong, dove la popolazione (circa 30 milioni di abitanti) si è riversata nelle strade.
 

 

Dopo gli scandali del terremoto del 2008, costato la vita a oltre 87mila persone, le autorità della provincia del Sichuan si sono subito mobilitate per soccorrere le aree più colpite. Lo stesso presidente Xi Jinping ha ordinato che "ogni sforzo deve essere fatto per aiutare le vittime e salvare i dispersi". 

Sul popolare social network cinese Weibo uno dei soccorritori esprime la sua preoccupazione affermando che il sisma ha colpito un'area circondate da montagne e le maggior parte delle strade è bloccata a causa di frane e smottamenti. Sempre sul Sina Weibo diversi utenti hanno duffuso fotografie e filmati della tragedia, anche per aiutare le squadre a riconoscere il territorio.
 

Secondo la Xinhua, agenzia di stampa ufficiale di Pechino, il governo locale di Chengdu, capoluogo della regione, ha inviato circa 2mila soldati nella zona dell'epicentro.
 

Nel maggio 2008 la provincia ha visto uno dei peggiori terremoti degli ultimi decenni. Il sisma ha colpito i villaggi a nord-ovest della città di Chengdu. Il disastro ha raso al suolo l'intera provincia, provocando danni e vittime anche nelle vicine regione dello Shaanxi e Gansu. Nonostante il risalto dato alla tragedia attraverso i media di Stato con foto del premier Wen Jabao commosso davanti alle macerie, la popolazione ha iniziato una serie di proteste dopo la scoperta che molte scuole erano crollate uccidendo migliaia di bambini, mentre altri edifici erano rimasti illesi. Invece di indagare sull'accaduto e punire subito i responsabili il governo ha preferito censurare gli abitanti, trasformando la tragedia dei bambini morti del Sichuan in un tabù. Ancora oggi sui motori di ricerca cinesi alcuni termini come "bambini, terremoto in Sichuan, scuole" sono censurati dal governo.
 

 

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gio

25

ott

2012

Uccideteci tutti, e poi seppelliteci qui’: appello disperato dei Guarani sotto sfratto

Dopo aver saputo che saranno sfrattati ancora una volta, un gruppo di Indiani brasiliani ha lanciato un drammatico appello al governo.

Da quando sono riusciti a ritornare in una piccola parte della terra ancestrale, questi 170 Indiani, membri della forte tribù dei Guarani (che in Brasile conta circa 46.000 persone) hanno già subito violenze, morte e numerosi attacchi brutali. La loro terra, conosciuta con il nome di Pyelito Kuê/M’barakai, è attualmente occupata da un ranch. La comunità indiana è circondata dalle guardie armate dell’allevatore, con limitata possibilità di procurarsi cibo e cure mediche.

Il loro sfratto è stato ordinato da un giudice il mese scorso.

“Questa sentenza è parte dello sterminio storico dei popoli indigeni del Brasile” hanno scritto i Guarani in una lettera. “Abbiamo perso la speranza di poter sopravvivere nella nostra terra ancestrale con dignità, e senza subire violenze. Presto saremo tutti morti.”

“Vogliamo morire ed essere sepolti qui, insieme ai nostri antenati. Chiediamo pertanto al governo e al sistema giudiziario di non ordinare il nostro sfratto, bensì la nostra morte collettiva, e poi di seppellirci qui. Noi chiediamo, una volta per tutte, che sia ordinato il nostro massacro e che le ruspe scavino una grande fossa per i nostri corpi.”

“Abbiamo deciso, tutti insieme, che non ci muoveremo più di qui, non importa se vivi o morti.”

Da quando la comunità ha rioccupato la sua terra, sono già morti quattro Guarani: due per suicidio e due a causa degli attacchi dei sicari.

Il FUNAI, responsabile della mappatura e della demarcazione della terra dei Guarani, ha dichiarato che sta cercando di far sospendere l’ordine di sfratto.

Gli enormi ritardi del programma di demarcazione costringono migliaia di Guarani a vivere da anni in riserve sovraffollate o accampati ai margini delle strade con scarse risorse di cibo, acqua pulita e cure mediche. Soffrono uno dei tassi di suicidio più alti al mondo; secondo una recente statistica governativa, negli ultimi dieci anni si è verificato mediamente un suicidio a settimana.

“I suicidi dei Guarani si stanno verificando e intensificando a causa del ritardo nell’identificazione e nella demarcazione della nostra terra ancestrale” ha denunciato l’antropologo guarani Tonico Benites.

Survival chiede che i Guarani possano restare nella loro terra e che tutti i territori guarani siano demarcati con la massima urgenza, prima di perdere altre vite.

“L’estinzione dei popoli indigeni del Brasile è un’onta nella storia del paese, ed è vergognoso che le stesse crudeltà e gli stessi abusi commessi in epoca coloniale siano avvallati dal sistema giuridico brasiliano contemporaneo. La straziante richiesta dei Guarani di Pyelito non avrebbe potuto essere più esplicita: la vita senza la terra ancestrale è così piena di miseria e sofferenza che non merita di essere vissuta. Il Brasile deve agire prima che un altro dei suoi popoli sia distrutto per sempre.”

Fonte: www.survival.it

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dom

23

set

2012

Nord Darfur, dichiarato stato di emergenza


Stato di emergenza e governo militare in due località dello Stato del Nord Darfur: lo ha deciso il governatore Mohammed Osman Youssef Kibir durante una conferenza stampa tenuta nel pomeriggio a El-Fasher, capitale dello Stato dove settimane di violenze tra comunità locali hanno reso la sicurezza sempre più precaria

Misna - Lo riferisce il quotidiano Sud an Tribune precisando che le località più a rischio instabilità sono Al-Waha e Kutum, in preda a turbolenze dal mese scorso; nella seconda è stato preso di mira il campo sfollati di Kassab, provocando la fuga in massa di 25.000 persone. Stato di emergenza, coprifuoco dalle 18 alle 7, chiusura delle scuole, supervisione dell’amministrazione cittadina da un militare, il brigadiere Mohammed Kamal Nour, e divieto del porto d’armi: le misure restrittive rimarranno in vigore fino a quando “la situazione non si stabilizzerà” ha aggiunto il governatore.

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dom

23

set

2012

Afghanistan: polizia uccide 15 civili al nord. Altre vittime in attacco a base militare Usa

In Afghanistan, la polizia locale ha ucciso 15 civili nel corso di una sparatoria. L’episodio è avvenuto in un villaggio nella provincia settentrionale di Kunduz.

Radio Vaticana - A riportare la notizia sono i media di Kabul, precisando che la polizia locale è in realtà una milizia costituita per contrastare il terrorismo. Secondo alcuni testimoni, all’origine dello scontro vi sarebbe l’uccisione di un ufficiale da parte degli abitanti del villaggio. E ieri i talebani hanno sferrato un duplice attacco kamikaze nella provincia di Wardak: il primo contro l’abitazione del governatore locale e il secondo, con un’autobotte, contro una base militare americana. Il bilancio è di 13 morti – 9 civili e quattro soldati afghani – e un’ottantina di feriti. Ingenti i danni alle strutture circostanti, tra cui una moschea un centinaio di negozi e decine di abitazioni.

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dom

23

set

2012

Siria, ultimatum dei ribelli: 72 ore, poi l'assalto agli aeroporti civili

Gli scontri tra esercito e ribelli si intensificano. I ribelli hanno lanciato un ultimatum alle poche compagnie aeree che ancora effettuano voli su Damasco e Aleppo prima di dare l’assalto agli aeroporti civili delle 2 città. Il servizio di Marina Calculli: ascolta 

Radio Vaticana - Mentre la Russia giudica “naif” chi pensa che Assad possa essere il primo a posare le armi, i ribelli moltiplicano i loro attacchi contro l’esercito regolare e l’aviazione. Già da venerdì sera gruppi dell’opposizione avevano annunciato di controllare in parte l’aeroporto militare di Abu al-Zuhur e alcune basi a Boukamal, un’importante città della provincia di Deir al-Zor. Oggi l’intenzione, esplicitata in un comunicato, è quello di colpire i velivoli militari. Già ieri l’esercito siriano libero (esl) aveva rivendicato l’abbattimento di un MIG e oggi annuncia l’uccisione di alcuni soldati ad Hama, al confine nord con la Turchia e ad Abu Kamal vicino all’Iraq. L’esercito di Assad continua a bombardare intanto le regioni di Damasco e Aleppo. E proprio ad Aleppo i ribelli alzano la posta: la brigata al Fath, guidata da un ex-militare disertore ha annunciato battaglia quartiere per quartiere. Oggi toccherà ad al-Midan, la zona cristiana armena, sostanzialmente rimasta fedele al rgime. Il giorno prima un maggiore della stessa brigata aveva promesso in un video di proteggere i cristiani. Nel fr attempo si fa sempre più insostenibile la situazione dei rifugiati nei paesi vicini. Secondo l’Onu sono quasi 230.000.

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dom

23

set

2012

Libia: affonda barcone di migranti, ci sono decine di vittime

I corpi senza vita di 43 migranti che stavano cercando di raggiungere le coste europee a bordo di una imbarcazione salpata da Tripoli, sono stati ritrovati al largo delle coste della Libia.

Misna - Ne danno notizia i media libici secondo cui le forze di sicurezza sono riusciti a trarre in salvo altre 32 persone. Sulla base di prime informazioni i migranti provenivano da diversi paesi africani e non sono ancora chiari i motivi che hanno portato al capovolgimento dell’imbarcazione sulla quale si trovavano. La situazione in cui versano i migranti dell’Africa sub-sahariana presenti in Libia ha destato le preoccupazione di diverse organizzazioni umanitarie che denunciano maltrattamenti e abusi soprattutto nei confronti dei più deboli. Nei giorni scorsi era stata l’Agenzia Habeshia per la cooperazione allo sviluppo diretta da padre Mussie Zerai a denunciare maltrattamenti e operazioni in corso per deportare nei loro paesi di origine un migliaio di persone di nazionalità etiopica, eritrea e somala attualmente rinchiusi in tre centri di detenzione.

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dom

23

set

2012

Venezuela, cercatori d’oro brasiliani massacrano una comunità di Yanomami

La comunità si trova in un'area molto remota e gli Indiani che hanno rinvenuto i corpi hanno dovuto affrontare un lungo cammino  

GreenReport - Survival International denuncia che «un gruppo di cercatori d'oro ha massacrato una comunità di Yanomami venezuelani isolati». L'organizzazione che difende i popoli indigeni dice di averlo appreso da alcuni testimoni che hanno raccontato di aver trovato «corpi e ossa bruciati» vicino alla comunità di Irotatheri, nella regione di Momoi, lungo il fiume Ocamo, vicino al confine del Venezuela con il Brasile.

L'Ong dice che «dai primi indizi sembra che le persone massacrate siano circa 80, ma il numero preciso delle vittime è impossibile da stabilire ora. Al momento, i sopravvissuti rinvenuti sono solo 3. Sembra che il massacro sia avvenuto in luglio, ma il fatto è stato scoperto solo ora. La comunità si trova in un'area molto remota e gli Indiani che hanno rinvenuto i corpi hanno dovuto affrontare un lungo cammino per raggiungere l'insediamento più vicino e denunciare la tragedia». Pare che i sopravvissuti si siano salvati dall'attacco omicida dei garimpeiros brasiliani solo perché erano a caccia mentre la loro comunità veniva data alle fiamme.

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dom

23

set

2012

Daghestan, nuovo assassinio di autorità religiose musulmane

Lo sheikh al Chirkavi, personalità tra le più influente della comunità sufi, è rimasto ucciso in un attentato kamikaze insieme ad altri sei religiosi. Esperti: si tratta di un attacco a tutto l’islam ufficiale in Russia.

AsiaNews - La repubblica russa del Daghestan ha dichiarato per il 29 agosto una giornata di lutto per sette esponenti religiosi musulmani, uccisi ieri, in un attentato kamikaze nel villaggio di Chirkey. Nell'attacco suicida, compiuto da una donna, è morto uno dei leader spirituali della comunità sufi locale, lo sheikh Said Afandi al Chirkavi, e altri sei suoi collaboratori. Il presidente del Daghestan, Magomedsalam Magomedov, ha espresso le sue condoglianze a parenti e amici delle vittime e dichiarato il lutto nazionale.

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dom

23

set

2012

Laos: leader cristiano arrestato perché “ha convertito 300 persone”

La polizia laotiana ha arrestato il leader cristiano Bountheung, del villaggio di Nongpong, nel distretto di Khamkerd, nella provincia di Borikhamxai (Laos centrale).  

Agenzia Fides - Muang Pakxan. L’accusa è quella di “avere convertito 300 laotiani alla fede cristiana”. Come riferito a Fides, l’arresto è avvenuto una settimana fa, dopo che per altre due volte, nel mese di agosto, il leader era stato convocato e interrogato dalle autorità provinciali. Le domande vertevano sulla sua fede e sulla conversione di circa 300 laotiani al cristianesimo, avvenuta nel maggio scorso.

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dom

23

set

2012

Haiti, tempesta "Isac": inondazioni e migliaia di sfollati

Diretta in queste ore verso le coste sud-orientali degli Stati Uniti, a sette anni dal devastante passaggio dell’uragano Katrina, la tempesta tropicale Isaac ha provocato almeno otto vittime relegando in alloggi di fortuna oltre 13.000 persone in sei dipartimenti haitiani.  

Misna - Secondo un bilancio ancora parziale della protezione civile, tra i senza tetto ci sono circa 8000 persone evacuate d’urgenza dopo la distruzione delle tendopoli in cui vivevano a seguito del terremoto del gennaio 2010. Le forti piogge hanno causato inondazioni in diverse zone del paese, principalmente nell’ovest e nel sud-ovest dove agricoltura e le fragili infrastrutture hanno subito gravi danni. Sebbene nelle ultime ore sia stata sollevata l’allerta rossa imposta sabato, i rischi di alluvioni e smottamenti di terra restano elevati.

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dom

23

set

2012

Siria: a Daraya scoperti 300 corpi, il massacro peggiore dall’inizio della guerra

Sarebbero rimaste vittima non di scontri tra ribelli e governativi, ma di esecuzioni sommarie e rastrellamenti casa per casa di civili, le 300 persone trovate morte ieri a Daraya, sobborgo a sud di Damasco dove l’assedio prosegue dal 20 agosto scorso.

Radio Vaticana - Secondo fonti ribelli, solo all’interno e nei pressi della moschea di Abu Sleiman, sarebbero stati rinvenuti 156 corpi, 19 quelli di donne e bambini. La città teatro del massacro che fa salire il bilancio di ieri a oltre 400 vittime stando ai dati dell’Osservatorio siriano dei diritti umani, e che, se confermato, farebbe diventare la giornata del 25 agosto 2012 la più sanguinosa dall’inizio della rivolta, resta isolata: non ci sono elettricità né comunicazioni, non arrivano acqua, cibo né medicinali. E anche oggi l’esercito spara sulle roccaforti della ribellione, a Homs come a Hama e Aleppo e si contano già almeno una trentina di morti; ieri 10 razzi hanno centrato Idlib.

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dom

23

set

2012

La tempesta tropicale “Isaac” colpisce Haiti: allarme per i terremotati nelle tendopoli

La tempesta tropicale Isaac ha colpito Haiti, uccidendo almeno tre persone, una donna e due bambine.

Radio Vaticana - Il bilancio ancora provvisorio dei danni parla di case danneggiate, di alberi sradicati e di interruzione di elettricità nella capitale Port au Prince. 5000 in tutto gli evacuati dai campi sfollati dove vivono le vittime del terremoto di due anni fa. Proprio sulla condizione della popolazione haitiana, alle prese con un’emergenza continua, Federico Piana ha raccolto la testimonianza di suor Marcella Catozza, che lavora in una bidonville della capitale Port-au-Prince: ascolta

R. - Prima del terremoto, Haiti non era molto conosciuta e neanche meta di progetti di sviluppo. Il terremoto porta il mondo alla conoscenza della difficile realtà di Haiti, già molto difficile prima. Quindi, le Ong sono arrivate in massa. Finiti i progetti, finiti gli aiuti, le Ong per la loro stessa natura, raccolgono le cose e vanno altrove…

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dom

23

set

2012

Pakistan: Chiesa mobilitata per la bimba cristiana down arrestata per blasfemia

La Commissione per i diritti umani del Pakistan ha chiesto formalmente alle autorità di rilasciare immediatamente Rimsha Masih, la bambina down di 11 anni arrestata lo scorso 16 agosto con l’accusa di aver oltraggiato il Corano.  

Radio Vaticana - Organismo ha inoltre chiesto di dare protezione a lai, alla sua famiglia ed alle centinaia di cristiani fuggiti dal villaggio di Mehrabadi alla periferia di Islamabad. Intanto, l'ong cristiana World Vision in Progress ha presentato un appello per la cauzione, che verrà discusso il prossimo 28 agosto, data in cui potrebbe già ottenere il rilascio. Per domani, 25 agosto, a Lahore è invece in programma una manifestazione per chiedere la liberazione di Rimsha, organizzata da diverse organizzazioni per i diritti umani, fra cui la Masihi Foundation e Life for All, assieme alla Chiesa cattolica pakistana. Mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad-Rawalpindi, ha affermato ad AsiaNews che “è tempo che tutta la comunità cristiana si unisca e si stringa attorno alla bambina”. Dal canto suo, la All Pakistan Minorities Alliance (Apma) ha nominato il parlamentare Tahir Naveed Chaudhry quale rappresentante legale di Rimsha. Si tratta di una "faccenda delicata", conferma l'avvocato, che si mostra ottimista e promettec che "presto daremo buone notizie". Tuttavia, fonti Apma affermano che il legale non abbia potuto incontrare la bambina in prigione. E preoccupa anche la posizione assunta da molti musulmani in Pakistan, semplici fedeli o leader religiosi, per i quali se la bambina è veramente colpevole va punita secondo le norme vigenti nel Paese. (M.G.)

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dom

23

set

2012

Turchia: autobomba a Gazantiep in Anatolia. Sopetti su separatisti curdi

Strage in Turchia: un’autobomba è esplosa ieri sera nella città di Gazantiep, nell’Anatolia. 8 i morti ed almeno 50 i feriti. L’attentato non è stato ancora rivendicato ma i primi sospetti delle Autorità locali sono stati rivolti sui separatisti curdi.  

Radio Vaticana - Sangue sulla fine del Ramadan nel sud est della Turchia. L’esplosione è avvenuta di fronte ad un Commissariato di Polizia, nei pressi del Governatorato regionale. La notizia è stata diffusa dalla Tv locale, con immagini di disperazione, distruzione, veicoli in fiamme, pompieri ed ambulanze in azione. Tra le 8 vittime e le decine di feriti, anche diversi poliziotti. Era stata finora risparmiata Gazantiep, capoluogo dell’Anatolia,

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dom

23

set

2012

Islamabad, 11enne disabile cristiana arrestata per blasfemia; 300 famiglie in fuga

La ragazzina avrebbe bruciato pagine di un libro usato per imparare le basi dell’arabo e del Corano. Secondo il codice penale rischia fino all’ergastolo. Una folla di estremisti ha cercato di linciarla; salvata dall’intervento della polizia. Oltre 300 famiglie cristiane in fuga per timore di nuove violenze. Paul Bhatti lancia appelli alla calma.

 Islamabad(Asianews) - Una bambina cristiana di 11 anni, affetta da disabilità mentale, è stata arrestata con l'accusa di blasfemia e rischia fino all'ergastolo. Per la prima volta nella storia del Pakistan, la "legge nera" colpisce una minore che ha pure rischiato il linciaggio per mano di una folla di estremisti islamici. Solo l'intervento della polizia, che ha prelevato la piccola, ha scongiurato conseguenze ben peggiori. Intanto la comunità cristiana di Islamabad è sotto shock per la vicenda; centinaia di famiglieche abitavano nello stesso quartiere della minore, affetta da sindrome di down, hanno lasciato le proprie abitazioni nel timore di rappresaglie. Sulla vicenda è intervenuto anche il ministro per l'Armonia nazionale, il cattolico Paul Bhatti, che invita i leader religiosi musulmani alla calma e a spegnere qualsiasi focolaio di violenza. Protagonista (suo malgrado) della terribile vicenda di cronaca l'11enne cristiana Rimsha Masih, che si trova rinchiusa nel carcere minorile di Rawalpindi in base a un provvedimento di custodia cautelare di 14 giorni disposto ieri dalla magistratura. La ragazzina è indagata per blasfemia, avendo "dissacrato il Corano" ed è perseguita in base all'articolo 295-B del Codice penale, che prevede pene fino all'ergastolo.

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dom

23

set

2012

Sentenza Pussy Riot: il commento di Amnesty International

La sentenza emessa il 17 agosto da un tribunale di Mosca, che ha condannato a due anni di carcere tre componenti del gruppo punk Pussy Riot, colpevoli di "teppismo per motivi di odio religioso", è secondo Amnesty International un duro colpo alla libertà d'espressione in Russia

Amnesty International - A febbraio, Maria Alekhina, Ekaterina Samutsevich e Nadezhda Tolokonnikova avevano intonato un brano di protesta all'interno della principale chiesa ortodossa di ussy Riot siano state ingiustamente processate per quella che è stata una legittima, per quanto potenzialmente offensiva, azione di protesta.

 

L'organizzazione per i diritti umani considera Maria Alekhina, Ekaterina Samutsevich e Nadezhda Tolokonnikova prigioniere di coscienza e chiede alle autorità russe di rilasciarle immediatamente e senza condizioni

 

"In risposta all'ondata di proteste che hanno accompagnato le recenti elezioni parlamentari e presidenziali, le autorità russe hanno introdotto varie misure che limitano la libertà d'espressione e di riunione. Il processo alle Pussy Riot è un ulteriore tentativo del Cremlino di scoraggiare e delegittimare il dissenso. Un tentativo che è destinato al fallimento" - ha dichiarato John Dalhuisen, direttore del Programma e Asia centrale di Amnesty International.Mosca. Amnesty International ritiene che il procedimento sia stato motivato politicamente.

Posted: 18 Aug 2012 11:04 AM PDT

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23

set

2012

Mali: rischio guerra civile, la gente scende in piazza per la pace

“L'opzione militare” nel Nord del Mali, da mesi sotto il controllo di gruppi fondamentalisti islamici, è “inevitabile”. Ad affermarlo è una fonte del governo del Paese africano, che denuncia terroristi e narcotrafficanti “mascherati dietro falsi propositi religiosi”.


 

Radio Vaticana - Al momento, la mediazione è affidata al presidente del Burkina Faso, Blaise Compaore, che ha incontrato una delegazione guidata dai membri del Mnla Movimento Ribelle che ha proclamato l’indipendenza dello Stato del territorio di Azawad (Nord del Mali). La popolazione del Sud, pur scioccata dalle notizie che giungono dal Nord, è scesa in piazza nei giorni scorsi per sostenere la via del negoziato, come sottolinea, nell’intervista di Fausta Speranza, l’africanista Angelo Turco, docente alla Libera Università Iulm di Milano:
R. – La gente a Sud, effettivamente, deve assorbire una dose di "intossicazione comunicativa" molto forte. Ci si può immaginare che circolano voci, idee di ogni tipo, anche perché le notizie che filtrano dal Nord non sono assolutamente controllabili. Quindi, ciò che si sa è sempre tutto molto approssimativo. Tuttavia, la gente del Sud sembra avere qualche idea chiara. La prima è che il Mali non si spezzetta. Quindi, c’è una forte determinazione a conservare l’integrità territoriale dello Stato, fatte salve le possibilità – che la politica finora non ha colto – di operare per la concessione di un’autonomia significativa alle popolazioni tuareg del Nord. Secondo aspetto è che vogliono il negoziato: la manifestazione che c’è stata l’altro giorno è una manifestazione per la pace. Quindi, questi propositi bellicosi che ogni tanto si sentono sostenuti da parte della Cedeao, l’Organizzazione regionale africana, da parte dell’Onu, da parte della Francia – recentemente in modo preoccupante – sono fuori luogo nella prospettiva che la maggioranza della popolazione del Sud intravede. Negoziato prima di tutto, dunque, capire bene chi sono gli interlocutori; capire bene che cosa vogliono e, in questa prospettiva, probabilmente bisognerà cambiare sia la metodologia della negoziazione sia anche le personalità coinvolte nella negoziazione

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dom

23

set

2012

Sudafrica: il dolore della Chiesa per la strage di 36 minatori uccisi dalla polizia

Sale a 36 il numero dei minatori rimasti uccisi, ieri, in scontri con le forze dell’ordine, avvenuti nella miniera di platino di Marikana, in Sudafrica.  

Radio Vaticana - Il commissario della polizia ha affermato che i poliziotti hanno sparato per ''difendersi'' dai minatori armati di machete e spranghe, che erano in sciopero per chiedere salari migliori. Il presidente sudafricano, Zuma, ha lasciato d'urgenza il summit della Comunità di sviluppo dell'Africa australe, Sadc, a Maputo per recarsi a Rustenburg, nei pressi della miniera. I vescovi del Paese parlano di “scioccante escalation di violenza” e di tragica perdita di vite umane, assicurando la loro preghiera per le famiglie delle vittime . Fausta Speranza ha parlato con padre Gianni Piccolboni, della Congregazione delle Sacre Stimmate di Nostro Signore Gesù Cristo, impegnata nella zona della miniera a 100 km da Johannesburg: ascolta

R. – Ho telefonato qualche minuto fa in Sudafrica, dove c’è padre Nell McCalagh, che è il parroco della zona nella quale noi Stimmatini siamo presenti da circa un anno, e lui ha messo a fuoco la situazione. Afferma che non si sa esattamente come siano scoppiate queste rivolte. Probabilmente, sono due le questioni concatenate: una è la lotta tra forze sindacali e l’altra è la richiesta di un aumento di stipendio. Il padre, che aveva visto che stava succedendo qualcosa, non poteva circolare nella zona, ma ha visto questo bagno di sangue, la gente lasciata sul terreno… Anche i nostri padri sono desolati, non sanno cosa fare perché non possono entrare, non possono portare aiuto … Quindi, è veramente una situazione drammatica.

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dom

23

set

2012

Tibet: pestaggi e arresti mentre due tibetani si danno fuoco

L'auto-immolazione di due giovani, Lungtok e Tashi, è avvenuta nella "strada dei martiri" a Ngaba, dove vi sono stati molti suicidi. I due giovani hanno frequentato la scuola di medicina del monastero di Kirti. I dimostranti tibetani picchiati dalla polizia con mazze di ferro e bastoni appuntiti.


Dharamsala (AsiaNews) -  La polizia cinese ha operato pestaggi indiscriminati e arresti contro alcuni dimostranti dopo che due giovani tibetani si sono dati fuoco nella via centrale di Ngaba (Sichuan). Verso le 18.50 di ieri, il laico Tashi (circa 21 anni) e il monaco Lungtok (circa 20) del monastero di Kirti si sono auto-immolati per protesta contro l'oppressione cinese in Tibet. Secondo testimonianza raccolte da esuli, "Lungtok e Tashi si sono dati fuoco gridando slogan e correndo verso il centro della strada" che i tibetani chiamano ormai "la strada dei martiri", per il gran numero di autoimmolazioni avvenute.
Un gruppo di poliziotti è corso verso di loro, li ha atterrati e battuti per spegnere le fiamme. Essi sono stati portati prima all'ospedale di Ngaba e poi a Barkham (cinese: Maerkang).

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dom

23

set

2012

Una scodella di harira

Con la abituale, irriverente maniera di guardare le altre fedi religiose, mi si diceva da piccolo: “Guarda bene, digiunano di giorno e mangiano di notte!”

di Renato Zilio


Naturalmente, si parla di ramadan. Svalutare, deprezzare l’altro era la regola. Oggi un approccio più sano richiama, invece, a scoprire l’originalità, il senso, i valori che una tradizione religiosa porta o veicola in sè. Mai avrei immaginato, in seguito con il passare degli anni, di avere l’occasione in un paese islamico di essere ospite di una comunità di monaci trappisti e di fare questa stessa esperienza con loro. Anzi, di percepire il senso di privilegio nel vivere un tempo speciale come questo, in terra d‘Islam. “È qualcosa che sa veramente di profetico!” vi confiderà, allora, padre Joël, anziano francescano, in questi luoghi da più di quarant’anni. Tutto un popolo, infatti, vive la solidarietà, la preghiera, la visita ai vicini, la tensione escatologica con una convinzione interiore, a volte, impressionante. “Sai, molti qui hanno una fede, che trasporta le montagne!” vi confessa con meraviglia suor Monica, alsaziana, in Maghreb da più di trent’anni. E così spesso alla sera sono invitato con tutti i cinque monaci trappisti dai vicini di casa del monastero. Ogni sera, invitati da una famiglia differente. È per condividere la cena di rottura del digiuno (ftur), al calare della notte. Una cena fraterna, rituale e regale offerta come coronamento di tanti gesti di solidarietà, vissuti durante l’anno con i monaci. Naturalmente, durante il giorno essi, in sintonia con milioni di credenti, cercano di allinearsi alla tradizione musulmana.

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dom

23

set

2012

Una ragazzina macedone di 13 anni, ceduta a 2 suoi connazionali

Una ragazzina macedone di 13 anni, ceduta a 2 suoi connazionali, tenta di fuggire e viene picchiata selvaggiamente, torturata e stuprata. I suoi due aguzzini, una donna e il figlio, dovranno rispondere di gravissimi reati: violenza sessuale aggravata ai danni di minore, maltrattamenti e lesioni aggravate.

di Alberto Giannino


Una ragazzina di 13 anni della Repubblica di Macedonia è stata venduta in sposa contro la sua volontà a due connazionali che vivono in Italia per la somma di 3.000 euro. Si tratta di una donna e di suo figlio che vivono abitualmente a Marghera (Venezia). Arrivata in Italia assieme alla futura suocera, per la 13enne è iniziato un incubo di violenze, segregazioni e torture, che l'hanno portata a scappare da Venezia e allontanarsi dai suoi aguzzini. Per tutta risposta, il 17enne che l’aveva “acquistata”, dopo averla riportata a casa, l’ha stuprata più volte alla presenza di sua madre, che lo incitava a compiere violenze sessuali per “fare il suo dovere di uomo”.

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dom

23

set

2012

Ucciso un altro sacerdote in Colombia. In 27 anni, assassinati 2 vescovi, 79 preti, 8 religiosi e 3 seminaristi

Una nuova vittima della violenza in Colombia fra i membri del clero.


Radio Vaticana - Padre Pablo Sánchez Albarracín, 67 anni, della diocesi Cúcuta, parroco di "Santa María Madre de Dios" (Municipio Los Patios) è deceduto dopo 72 ore di agonia. Il sacerdote era stato aggredito il 9 agosto scorso da un uomo che si era introdotto nella sua abitazione con un'arma da taglio: sin dal primo momento le sue condizioni erano apparse disperate. Secondo la polizia locale il prete era molto amato dai fedeli e non aveva mai ricevuto alcun tipo di minaccia . In Colombia ormai sono decine i sacerdoti uccisi negli ultimi 40 anni. Molti sono stati assassinati dagli uomini del narcotraffico, altri dai paramilitari o dai gruppi della guerriglia. Nella città di Cúcuta, da molto tempo, esiste un grave problema di ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini è praticamente inesistente. La Chiesa locale ha ricevuto numerose minacce e "richieste" di abbandono del territorio. Lo scorso 15 luglio, il nunzio apostolico, mons. Aldo Cavalli, aveva visitato la città per incoraggiare il personale ecclesiastico a continuare il lavoro pastorale. "La Chiesa non lascerà mai questa gente e non abbandonerà la sua missione evangelizzatrice", aveva esplicitamente affermato il presule. Già il 12 maggio scorso, un altro sacerdote, padre Gustavo Garcia, era stato ucciso da un uomo che voleva derubarlo del suo cellulare. Secondo l’episcopato colombiano fra il 1984 e il settembre 2011, nel Paese sono stati uccisi 2 vescovi, 79 sacerdoti, 8 religiosi e 3 seminaristi. (A cura di Luis Badilla)

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dom

23

set

2012

Cinesi in Italia tra business, economia e illegalità

Molti cittadini sono clandestini, altri si dedicano ad attività illegali con la protezione della mafia cinese, preoccupa lo sfruttamento di uomini e donne che sfugge ad ogni controllo

di Alberto Giannino


Una volta era consuetudine affermare che la cultura dell’avere fosse in auge solo in Occidente. Ora bisogna correggere il tiro: la cultura dell’avere è sì diffusa in Occidente, ma praticata anche da cittadini orientali. In particolare da cinesi, i quali non dedicano più le loro attività alla raffinata creazione di porcellana o del vasellame d’argento coi tipici motivi di peonie e fiori di loto, oppure all’agricoltura (frumento, orzo, mais, avena, soia): ora sono degli imprenditori veri e propri, dei business man… ma all’estero. Più precisamente in Italia, dove, notoriamente, i controlli per cielo, mare e terra lasciano ampiamente a desiderare. E cosi negli ultimi anni sono arrivati in Italia dai Balcani e da Malta 100.000 cinesi, che risultano residenti regolari, con l’obiettivo di fare soldi e che, indirettamente, mettono in ginocchio la nostra economia. Senza contare che la nostra polizia continua ad espellerne ogni anno ufficialmente 5mila, in quanto clandestini, il che significa che ci sono almeno altri 50.000 clandestini nascosti in appartamenti dove spesso vivono, in pochi metri quadrati, anche in 12 persone


Il sistema politico cinese si basa sull’ideologia comunista che, tra l’altro, non prevede la cultura dell’avere, casomai quella della solidarietà, ma evidentemente il Manifesto di Marx ed Engels del 1848 l’hanno messo definitivamente in soffitta quando hanno scoperto che il business in Italia rende, e molto. Cosi la mafia cinese (le Triadi), che ha le sue basi ad Hong Kong e nell'Isola di Taiwan, spedisce in Italia centinaia di uomini e donne dediti alla ristorazione, al tessile e all’abbigliamento, al settore del pellame, ai giocattoli, all’industria orafa, alla produzione di scarpe da ginnastica, tute, maglioni, camicie, borse, valigie, bigiotteria, porcellana, materiale per la casa, alla gestione di internet cafè. Gli italiani che hanno la sfortuna di avere un negozio accanto al loro devono chiudere perché la “concorrenza sleale” dei cinesi, che applicano prezzi sotto costo, induce i clienti ad andare solo nei loro negozi. E cosi ristoratori italiani, commercianti, piccoli imprenditori, agricoltori, sono costretti a chiudere la loro attività dopo anni di lavoro onesto. E lo Stato cosa fa? I nostri fanno bancarotta, i cinesi, spesso diretti dalla mafia del loro Paese, accumulano denaro fresco da riciclare in altre attività in Europa, negli Stati Uniti e in Australia, soprattutto nell’acquisto di ristoranti e attività alberghiere.

Il problema, adesso, è tutto nostro, è tutto italiano e dell’Unione Europea. Una cosa è certa: questa situazione non è più sostenibile per molti lavoratori italiani, costretti a chiudere l’attività e a vendere l’impresa di famiglia. Lo Stato deve fronteggiare la situazione, da un lato controllando le frontiere e l‘interno, dove ci risulta vivano molti irregolari, soprattutto nelle città di Prato, Biella, Vicenza, Busto Arsizio e Gallarate, ma anche in Veneto, Emilia, Marche, Lazio e Campania. Dall'altro lato, in sede europea, bisogna bloccare questo traffico (o tratta) di uomini e donne contadine che le Triadi tolgono dai loro villaggi per farli lavorare per il proprio tornaconto. Triadi che hanno scoperto un Occidente ricco e opulento in cui fare affari miliardari, per poi rispedire in Cina questi contadini a produrre nuovamente riso, thè, tabacco, cotone, inta, canapa e lino, proseguendo il loro sfruttamento.

Quanti affiliati alle Triadi ci sono in Italia? Quanti arresti hanno eseguito le forze dell'Ordine per reati vari e quante attività illegali hanno chiuso? I Servizi di Sicurezza che si occupano dell'estero, attraverso il Direttore dell' AISE (l'Agenzia informazioni e sicurezza esterna) Adriano Santini, hanno rivelato dati preoccupanti sugli arrivi clandestini dalla Cina che sfuggono ad ogni controllo, e sulle attività illecite dei cinesi: contrabbando, prostituzione, introduzione di container pieni di merci contraffatte, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Santini, generale di Corpo d’Armata, ha parlato anche delle Triadi, e della loro alleanza di quest' ultime con la Camorra per riscuotere il pizzo per conto dei vari clan nei negozi italiani.

Adesso ci aspettiamo dal Ministro dell'Interno una risposta adeguata, ferma e risoluta. Noi eravamo abituati a pensare ai cinesi come a persone gentili e affidabili, ma la cultura del profitto li ha cambiati: si sono chiusi, sono diventati ermetici e duri (specie se affiliati alle Triadi), dediti al denaro, al profitto e all’avere. Facciamo presto, attuiamo una politica più aggressiva del made in Italy prima che per le nostre famiglie, per le nostre aziende e per il nostro Paese sia troppo davvero troppo tardi.

 

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dom

23

set

2012

Darfur: disordini e saccheggi, migliaia in fuga da Kassab

Migliaia di sfollati hanno abbandonato le loro case

 Misna - Sarebbero circa 25.000 gli sfollati causati in Darfur in seguito ai disordini e all’insicurezza crescenti in seguito all’uccisione di Abdelrahman Mohammed Eissa, capo distrettuale, durante un sopralluogo nel campo profughi di Kassab, a Kutum, nel nord della regione occidentale. Secondo quanto riferito da fonti dell’Onu, membri della tribù di Eissa avrebbero ucciso per rappresaglia due sfollati e distrutti il mercato locale.

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dom

23

set

2012

La Chiesa etiope alimenta le speranze di 180mila bambini

E’ iniziato tutto in un piccolo cimitero di Addis Abeba, la capitale etiope, dove per decenni lebbrosi, poveri e senzatetto hanno trovato rifugio… 

Quarant’anni fa due uomini, commossi dalla sorte di tanti bambini costretti a vivere tra le tombe, hanno voluto dare ai piccoli un’istruzione e l’opportunità di una vita migliore. E prima di lasciare la città per proseguire gli studi, i giovani hanno affidato la loro opera alle Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli. Le suore hanno creato una scuola e un asilo e oggi sono ancora lì, vicino al cimitero, a prendersi cura dei loro alunni. «Una buona istruzione è l’unica via d’uscita dalla povertà» dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre la direttrice della struttura, Suor Belaynesh Woltesi. Quest’anno le sorelle hanno insegnato a 813 bambini, così tanti che hanno dovuto dividerli in due turni. La scuola si trova infatti su una collina ai margini di un burrone e lo spazio è veramente poco. Ma nonostante ciò le religiose sono riuscite a ricavare una piccola biblioteca e perfino un campetto di gioco. «Qui è tutto in miniatura – continua la direttrice – ma ai nostri bimbi non manca nulla: libri, uniformi e soprattutto da mangiare. Anche se, con i prezzi in continuo aumento, è sempre più difficile per noi comprare generi alimentari».

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dom

23

set

2012

Emergenza prostituzione in Italia

Ben 70mila donne, 26mila straniere, 500mila minorenni, 9 milioni di clienti e un business che oscilla intorno ai 6 miliardi l’anno. E l’80% dei clienti vuole un rapporto non protetto…

di Alberto Giannino


Il fenomeno della prostituzione in Italia negli ultimi anni è aumentato notevolmente, in considerazione anche dei flussi migratori. Da 25mila prostitute di qualche anno fa siamo passati a 70mila, di cui 26mila straniere e il 20% minorenni. In prevalenza arrivano dalla Nigeria, dall’Albania, dalla Romania, dall’ex Jugoslavia, dal Sud America, dal Nord Africa e dai Paesi dell’Est. Tali donne esercitano la loro attività liberamente o in maniera coatta (ridotte in schiavitù) sulle strade, nelle zone appartate, negli appartamenti e nei locali in cambio di denaro. Le donne che si prostituiscono in maniera coatta sono soprattutto quelle albanesi, gestite da un racket feroce e barbaro, e poi le ragazze dell’Est che vengono in Italia con l’inganno: i loro connazionali promettono loro un lavoro, ma spesso si ritrovano sulla strada, e se si rifiutano sono botte e stupri di gruppo, fino a quando diventano più docili.

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dom

23

set

2012

Nigeria: almeno 19 morti in un attacco contro una chiesa

Ancora un attentato contro i cristiani in Nigeria: nella notte è stata attaccata una chiesa ad Okene, nello Stato centrale di Kogi. Secondo le prime frammentarie notizie, i morti sarebbero 19. Numerosi i feriti, alcuni in gravissime condizioni. L’attentato non è stato ancora rivendicato, ma tutto fa pensare all’ennesima strage perpetrata dal gruppo islamista “Boko Haram”. Il servizio di Alessandro Gisotti: ascolta  

Radio Vaticana - Una nuova orribile strage a danno dei cristiani della Nigeria: un commando armato ha fatto irruzione nella chiesa “Deeper life” di Okene, nello Stato centrale di Kogi ed ha sparato sui fedeli raccolti in preghiera. Secondo fonti militari locali, riportate dall’Associated Press e dal quotidiano nigeriano Pmnews, nell’attacco sarebbero morte 19 persone. Molti i feriti tra i quali alcuni in gravissime condizioni che sono stati condotti agli ospedali della città di Lokoja, a 40 chilometri dal luogo della strage. Al momento non è giunta alcuna rivendicazione dell’attacco, ma le modalità fanno pensare che ci sia dietro la mano del gruppo islamista “Boko Haram”. Intanto, il presidente della Nigeria, Goodluck Jonathan, ha condannato la richiesta dello stesso “Boko Haram” di dimettersi e di convertirsi dal cristianesimo all'islam. “Quando i nigeriani votarono Jonathan come loro presidente", ha affermato il suo portavoce, "sapevano che stavano votando per un cristiano”. In qualità di presidente, ha aggiunto, “Jonathan e' il leader sia dei musulmani sia dei cristiani”.

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dom

23

set

2012

Messico: documento della Chiesa in difesa dei bambini poveri

Non è più sostenibile che i bambini muoiano o rimangano invalidi a causa della fame.  

Radio Vaticana - E’ quanto emerge in un documento diffuso dall’arcidiocesi di Città del Messico, che propone alcune azioni per l’istituzione di un accordo nazionale per far fronte a questo dramma. Per risvegliare la consapevolezza sociale sui livelli di povertà e di disuguaglianza esistenti in Messico, la Chiesa cattolica ha appena pubblicato il suo secondo Rapporto nazionale “Dolor de la Tierra, Dolor de los pobres. ¡Actuemos ya!” nel quale mette in evidenza che “non è tollerabile che un quarto dei messicani convivano con la fame e la sete, e che i bambini non possano continuare a morire o a rimanere invalidi a causa della fame”. “Né - continua il documento - è possibile che ci siano comunità dove oltre il 90% degli abitanti sono poveri.

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dom

23

set

2012

Conflitti, brogli e stupri: sul Congo silenzio "assordante"

“La comunità internazionale non può averci dimenticati. Bisogna sollevare la coltre di silenzio che oserei definire ‘complice’ e raccontare al mondo che il Congo ancora non trova pace”: parole che suonano come atti d’accusa, quelle pronunciate questa mattina da John Mpaliza, del comitato azione per il Congo, nel giorno dell’audizione “Per la pace, la democrazia e lo stato di diritto in Congo” alla commissione diritti umani del Senato, presieduta dal senatore Pietro Marcenaro. 

 Misna - A margine della conferenza stampa che ha preceduto l’audizione, nella sala del Senato dedicata ai caduti di Nassiriya, Mpaliza sottolinea alla MISNA come “i congolesi abbiano provato a dire ‘no’ e a riappropriarsi di un paese finito in mano ad una classe dirigente corrotta e incapace, ma sono stati ripagati con brogli elettorali e omicidi mirati, che hanno insanguinato la recente campagna per le presidenziali e di cui nessuno, o quasi ha parlato all’estero”.

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dom

23

set

2012

Pakistan: infermiere cattoliche “luce di speranza”

“Luce e speranza per le persone più miserevoli”. È questa l’immagine delle infermiere che lavorano a Faisalabad, in Pakistan, emersa nel corso di un convegno promosso dai cattolici della città per celebrare la Giornata internazionale di questo mestiere declinato al femminile, che si è celebrata il 12 maggio. 

Radio Vaticana - Durante l’incontro, riferisce l'agenzia AsiaNews, le infermiere hanno manifestato le difficoltà che devono sostenere ogni giorno tra cui “enormi pressioni, influenze psicologiche e una paga non appropriata”. Hanno chiesto un “miglioramento” della loro situazione e invocato l’intervento del governo, chiamato a garantire una “maggiore mobilità, aggiornamento professionale e opportunità educative”. All’incontro, che si è tenuto nella sala principale dell’ospedale San Raffaele sotto l’egida della Commissione diocesana per il dialogo interreligioso, hanno partecipato sacerdoti, suore, semplici cittadini, che hanno letto passi della Bibbia, intonato canti e promosso approfondimenti sulla professione.

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dom

23

set

2012

Siria: ancora 22 morti in battaglia

E' salito ad almeno 22 morti e centinaia di arresti il bilancio della repressione e della violenza delle forze di sicurezza siriane fedeli al presidente Bashar al Assad nel 62° venerdì consecutivo di proteste

Radio Vaticana - Imponente la manifestazione organizzata ad Aleppo: attivisti la descrivono come la più massiccia dall'inizio delle dimostrazioni. Presto nel paese nuova missione dell’inviato di Onu e Lega Araba, Kofi Annan. Intanto, il Washington Post parla di incremento massiccio di rifornimento di armi ai ribelli, grazie ai fondi di diversi Paesi del Golfo e al coordinamento degli Stati Uniti. Sull’attendibilità e la portata di questa notizia, Fausta Speranza ha intervistato Maurizio Simoncelli, dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo: ascolta

R. – Non abbiamo fonti certe, naturalmente, di tutto quanto sta avvenendo in questo periodo nell’area mediorientale e intorno al conflitto che è scoppiato da ormai più di un anno in Siria. Il dato certo è che sicuramente, da una parte e dall’altra, ci sono forniture di armi: arrivano ai ribelli e all’esercito siriano, cioè ai lealisti per così dire. Le cifre certe non si hanno: ogni tanto si ha notizia di navi fermate e si dice che in alcuni casi provengano da parte dell’Iran. Noi sappiamo che uno dei tradizionali alleati del governo di Assad, in questo ambito, è anche la Russia di Putin, che si è sempre opposta a possibili embarghi.

D. – Qual è la portata di questa notizia: se dovesse essere vera cosa potrebbe significare per questo braccio di ferro tra opposizione e regime in Siria?


R. – Certamente, ormai ci troviamo di fronte a una guerra in corso. Il problema è sperare che tutto questo non si allarghi, perché vediamo che non sono soltanto gli Stati Uniti a essere i grandi fornitori di armi all’opposizione, ma anche qualche altro Paese del Golfo, che teme molto l’influenza e l’azione dell’Iran. Tutto questo potrebbe continuare a destabilizzare l’intero territorio. C’è quindi il pericolo di un avvitamento, di una crisi armata che potrebbe coinvolgere non solamente il Paese di cui stiamo parlando, ma un’area appunto molto, molto più vasta.


D. – Qualcuno fa un parallelismo con la situazione in Libia. Anche lì c’era guerra civile: a un certo punto è arrivato un massiccio aiuto di armi ai ribelli e c’è stata la svolta. E’ possibile fare questo paragone?


R. – Siamo in due situazioni molto, molto diverse: il regime di Gheddafi era un regime molto autonomo e indipendente rispetto al grande alleato della Siria che è l’Iran. Certamente, alcune dinamiche potrebbero essere simili. Però, ricordiamo che non sono stati i ribelli a vincere Gheddafi, ma c’è voluto l’intervento militare della Nato, che è stato risolutivo. Noi abbiamo nel caso della Siria un esercito ben armato, ben organizzato, che è quello di Assad, con truppe che si sono anche ammutinate, ma non siamo allo stesso livello di forze in campo. Per cui, per quanto Stati Uniti e altri Paesi possano inviare armi, non credo che un intervento solo di questo genere possa mettere in crisi le forze armate di Damasco. Abbiamo visto, purtroppo, la tragedia di Homs e adesso ci sono altre città che vengono bombardate… Immaginare un altro tipo di intervento come quello che c’è stato lo scorso anno mi sembra in questo momento estremamente difficile.

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dom

23

set

2012

Pakistan, appello per la giovane cristiana rapita e costretta a convertirsi all'Islam

A tutt'oggi la polizia nega il rilascio della giovane, nonostante le ripetute richieste della famiglia. Mary Salik (nome di fantasia) è stata sequestrata lo scorso 4 maggio vicino a Faisalabad dallo zio neo-convertito all'islam. Il padre della ragazza denuncia il complotto ordito contro la sua famiglia: "Mia figlia soffre di cuore ed è stata rapita con l'inganno".

 Faisalabad (AsiaNews) - Chiede giustizia la famiglia di Mary Salik (nome di fantasia per ragioni di sicurezza) giovane cristiana di 14 anni, rapita lo scorso 4 maggio ad Ali (Faisalabad, Punjab) e costretta a convertirsi all'islam. L'autore del rapimento è lo zio della ragazza, che ha abbracciato l'islam circa un anno fa e da all'ora ha chiuso qualsiasi contatto con la famiglia di origine. Egli ha sequestrato la giovane per farla sposare con il figlio Kashif. Il matrimonio si è celebrato lo scorso 7 maggio.

Il padre della ragazza dice ad AsiaNews che "mia figlia ha solo 14 anni e dalla nascita soffre di problemi di cuore e non può fare lavori pesanti. Dopo la conversione mio fratello sta complottando contro la nostra famiglia e ha rapito Mary con l'inganno".

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dom

23

set

2012

African Day: garantire alle mamme e ai bambini africani

In Italia, ogni 100 mila bambini che nascono, muoiono, per cause diverse.

 Radio Vaticana - In Sud Sudan ne muoiono 2.054, ossia 170 volte in più. In occasione della Giornata Mondiale per l’Africa, istituita in ricordo della fondazione dell'Unione Africana il 25 maggio 1963, dal 21 al 27 maggio l’organizzazione Medici con l’Africa Cuamm scende nelle piazze d’Italia per promuovere il diritto delle mamme africane a un parto gratuito e sicuro oltre che il diritto alla salute delle popolazioni africane. Saranno 5 giornate che vedranno impegnati centinaia di volontari e decine di eventi. L’African Day - riferisce l'agenzia Fides - prevede la presenza di punti informativi nelle principali città italiane, dove è possibile aderire attivamente alla campagna “Prima le mamme e i bambini”. Non mancheranno spettacoli ed eventi (concerti, incontri, mostre) per avvicinare ancora di più la cultura africana. L’iniziativa è organizzata e promossa dai gruppi locali del Cuamm in collaborazione con altre realtà del mondo dell’associazionismo e del volontariato. (R.P.)

 

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dom

23

set

2012

Tamil Nadu, cristiani protestanti ancora bersaglio degli estremisti indù

Assaltato il villaggio a maggioranza cristiana di Vanagiri Menvar; incendiati case e luoghi di culto. Il bilancio è di un morto e oltre 15 feriti. La maggior parte degli abitanti è ancora rifugiata nei boschi circostanti il villaggio. Questo è il quinto attacco dall'inizio del 2012


 Asianews - Un morto, oltre 15 feriti, case saccheggiate e date alle fiamme: è il bilancio dell'attacco compiuto da un gruppo di estremisti indù contro la comunità cristiana protestante di Vanagiri Menavar, nel distretto di Nagapattinam (Tamil Nadu). L'assalto è avvenuto lo scorso 23 giugno ed è il quinto dall'inizio del 2012. Nell'abitato vivono 30 famiglie cristiane e 10 indù. Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic) denuncia un aumento delle violenze contro i cristiani del Tamil Nadu. Tre dei cinque attacchi si sono verificati nel solo mese di aprile.

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dom

23

set

2012

Siria, Assad: siamo in guerra su tutti i fronti

La Siria sta vivendo in un vero stato di guerra su tutti i fronti. Lo ha affermato il presidente Bashar al-Assad in un discorso diffuso sulla televisione siriana. 

 E-ilmensile - Aggiungendo che “tutte le politiche devono essere messe al servizio della vittoria”. “Dal momento che siamo in guerra – ha detto Assad – tutti i settori e tutte le sedi devono essere diretti in modo da vincere questa guerra”. Ai Paesi che hanno chiesto che se ne vada, Assad ha risposto che l’Occidente “prende e non da nulla”. Il bilancio dei morti tra il fine settimana e questa mattina oscilla tra le 50 e le 100 vittime, e non si fermano le atrocità. Tre studenti medici all’università di Aleppo sono stati torturati e uccisi, secondo Amnesty International. I corpi dei tre, mutilati, sono stati ritrovati in un auto bruciata a nordest di Aleppo. La sede di una tv siriana legata al regime di Assad è stata attaccata e saccheggiata da un commando armato che ha ucciso tre dipendenti. A darne notizia è stata l’agenzia di stampa Sana. La tv di Stato siriana è da tempo inclusa nella lista nera dei soggetti vicini al regime sottoposti a sanzioni internazionali, a cui recentemente l’Ue ha aggiunto anche un’emittente privata filo-governativa.

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dom

23

set

2012

Filippine, la strage silenziosa

Lo hanno ucciso sparandogli da un’auto in corsa. Così è morto Alijol Ampatuan.  

 E-ilmensile - L’assassinio risale allo scorso febbraio ma solo oggi si è saputo che la vittima era coinvolta, in qualità di testimone, in un processo che da due anni scuote le Filippine. Alijol è il sesto testimone che viene fatto sparire come se nulla fosse. Una sequenza di omicidi che serve a intimidire le altre persone che hanno deciso di parlare, quelle che potrebbero far luce sul massacro di Maguindanao, del 2009, quando 57 persone vennero rapite e giustiziate da un commando armato che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbe fatto capo al potente cartello degli Ampatuan. Alijol Ampatuan era sì imputato ma aveva anche fatto sapere di avere cose interessanti da raccontare su quella mattanza rimasta impunita.

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dom

23

set

2012

Soldi africani nelle banche svizzere

I banchieri svizzeri sanno tenere cucita la bocca. Grazie alla proverbiale riservatezza, immense fortune vengono ammassate nei forzieri delle banche locali. Solitamente si tratta di denaro di dubbia provenienza, i cui proprietari preferiscono passare inosservati. E’ quindi con una certa sorpresa che la Banca Nazionale Svizzera (SNB) ha pubblicato i dati riguardanti fondi africani presenti nelle banche svizzere

Misna - Secondo il rapporto della SNB, 43 nazioni africane controllano oltre 16 miliardi di dollari americani depositati in Svizzera, che corrisponde al 36% di tutti gli aiuti umanitari dati al continente nei quattro decenni scorsi. La Liberia, uno dei paesi più poveri del mondo, ha depositato circa 4,3 miliari di dollari. Il Sudafrica, il paese più ricco a sud del Sahara, controlla depositi per quasi due miliardi di dollari. La lista dei paesi coinvolti è lunga. L’economista zambiana Dambisa Moyo, autrice di “La carità che uccide”, ha commentato la notizia sottolineando come gli aiuti del Nord abbiano alimentato la corruzione, e la creazione di vaste fortune. “Gli aiuti, pensati per sostenere la popolazione, finiscono spesso per rimpinguare le casse dei burocrati”. E’ così che la lista dei paesi più corrotti, pubblicata da Transparency International, va di pari passo con la lista di conti bancari in Svizzera.

L’economista zambiana sostiene inoltre che gli aiuti per lo sviluppo devono essere gestiti in maniera creativa. Secondo Moyo, gli aiuti causano il Male Olandese. E’ questo un termine economico che si riferisce alla caduta di produzione locale in presenza di un apprezzabile influsso di denaro dall’estero, causato dallo sfruttamento delle risorse naturali o dalla ricezione di aiuti speciali.

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dom

23

set

2012

Siria, la svolta si avvicina

Confine rovente, alta tensione. Si sprecano in questo momento i luoghi comuni per raccontare una situazione che nessuno, esclusi pochi alti dirigenti politici e militari, ha idea di come possa andare a finire tra Turchia e Siria.

E-il mensile - Tutto ha inizio una settimana fa, venerdì 22 giugno, quando la contraerea siriana abbatte un caccia militare turco (i corpi dei due piloti non sono ancora stati rinvenuti). Secondo Damasco aveva violato lo spazio aereo siriano senza farsi riconoscere, secondo Ankara era nello spazio aereo internazionale, disarmato, in volo di esercitazione. Sembra un casus belli da secolo scorso, almeno rispetto ai conflitti contemporanei, dove si punta a una cornice legalitaria internazionale nella quale iscrivere un intervento armato.

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dom

23

set

2012

Sahel: insicurezza alimentare per 10 milioni di persone

Oltre 10 milioni di persone nel Sahel patiscono varie forme di insicurezza alimentare.Tra queste 1 milione di bambini.


Nel caso del Mali, si aggiungono la violenza e l’insicurezza nel nord del Paese, che ha generato un forte afflusso di rifugiati nei Paesi limitrofi (vi sono nel solo Burkina Faso 150.000 rifugiati maliani). Le conseguenze della crisi alimentare sono, secondo quanto riporta mons. Ouedraogo, la riduzione del numero e della quantità dei pasti giornalieri, la perdita del bestiame, la migrazione dei giovani nelle grandi città. Per affrontare il problema, il presidente di Ocades-Caritas Burkina indica diversi provvedimenti: stabilire un sistema di allarme sulle condizioni climatiche, migliorare la ridistribuzione delle risorse alimentari nell’area, stabilire fondi di emergenza, formare gli agricoltori a nuove tecniche agricole, costruire pozzi e dighe, diversificare le fonti di reddito (attualmente l’80% della popolazione attiva è impiegata nell’agricoltura che rappresenta tra il 30 e il 40 del Pil dei Paesi del Sahel). “I Paesi del Sahel hanno la possibilità di far fronte alla crisi. Hanno solo bisogno di risorse per rafforzare le azioni che sono già avviate sul terreno. Investendo nel rafforzamento della capacità di recupero, i partner saranno in grado di offrire ai Paesi che patiscono la crisi alimentare una meravigliosa opportunità di rispondere in prima persona, nel modo più efficace e nella situazione più difficile in cui vivono” conclude mons. Ouedraogo. (R.P.)

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dom

23

set

2012

Kenya, attentati contro le chiese a Garissa: una voce per la pace

Una conseguenza dell’offensiva keniana in Somalia e non, in alcun modo, il segno di un rapporto conflittuale tra cristiani e musulmani: padre Joachim Omolo, animatore dell’organizzazione interreligiosa People for Peace in Africa, legge in questo modo gli attentati contro le chiese nella città nord-orientale di Garissa.

 Radio Vaticana - Di questi, un milione sono bambini che soffrono di malnutrizione severa e altri 2 milioni di malnutrizione meno acuta. Questi dati sono stati presentati da mons. Paul Ouedraogo, arcivescovo di Bobo-Dioulasso e presidente di Ocades-Caritas Burkina, alla Conferenza sullo sviluppo sostenibile (Uncsd), denominata anche Rio+20, che si è svolta dal 20 al 22 giugno 2012 a Rio de Janeiro. I Paesi più colpiti dalla crisi alimentare sono Niger (con 5 milioni e mezzo di persone in sofferenza); Mali (3 milioni); Burkina Faso (1,7 milioni) e Senegal (850.000). Le cause della crisi sono il magro raccolto nella stagione 2011-12, conseguenza delle scarse piogge, e più in generale la riduzione della produttività nei Paesi della regione (Mauritania, Niger, Senegal, Mali, Burkina Faso, Ciad) provocata dai cambiamenti climatici.

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dom

23

set

2012

Libia: per le prossime elezioni mons. Martinelli invita a dare fiducia ai libici

“Per la prima volta nella sua storia, in Libia si tengono elezioni veramente libere. Vogliamo meravigliarci se ci saranno dei problemi? Io non mi meraviglio. Spero comunque che il voto avvenga nella pace e sia corretto”. 

Radio Vaticana - Così mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, commenta all’agenzia Fides la vigilia del voto del 7 luglio per eleggere i 200 rappresentanti dell'Assemblea nazionale libica, che dovrà poi nominare il nuovo governo ad interim e una commissione per scrivere la nuova Costituzione. “Vedo che la popolazione sta maturando questo evento, all’inizio c’era un po’ di indecisione ma adesso penso che siano in grado di affrontare questa prova, con la volontà di superarla” dice mons. Martinelli.

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dom

23

set

2012

Sempre più musulmani guardano una tv cristiana

E’ Sat7, l’emittente cristiana creata appositamente sedici anni fa per il pubblico di Turchia, Iran e Mondo Arabo. «Siamo convinti che l’ignoranza conduca al pregiudizio e al diffondersi dei conflitti e solo un’informazione onesta può arrestare questo processo», dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre Kurt Johansen, direttore dell’ufficio europeo di Sat7 con sede a Christiansfeld in Danimarca.

Certo l e difficoltà da affrontare sono molte per una piccola televisione che si rivolge ad una minoranza – peraltro in costante diminuzione - come quella cristiana in Medio Oriente e Nord Africa. «I cristiani rappresentano oggi circa il quattro per cento della popolazione mediorientale – continua il giornalista – Il resto degli abitanti conosce assai poco i fedeli e la loro religione. E spesso il Cristianesimo è associato all’Occidente, di cui in genere gli arabi non si fidano molto». La missione della piccola tv satellitare - che ha il suo quartier generale a Nicosia, la capitale di Cipro – è raggiungere il pubblico musulmano e diffondere i valori della fede cristiana. «Un compito arduo in una regione vasta e a maggioranza islamica, dove vivono più di 200 milioni di persone e dove già trasmettono oltre 300 televisioni.

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dom

23

set

2012

I danni del “Protocollo di Maputo” sulle donne e sulle società africane

“I sostenitori del Protocollo di Maputo vogliono farci credere che l'obiettivo primario del loro documento è la mutilazione genitale femminile (MGF), un crimine efferato che viola la dignità delle donne e colpisce quasi due milioni di donne africane ogni anno".

Agenzia Fides - Sei milioni di aborti solo nel 2011; ampia diffusione di pratiche come la sterilizzazione delle donne; ricorso sistematico alla contraccezione e a metodi di controllo delle nascite, che promuovono un programma di radicale trasformazione delle società africane, orientandole verso le ideologie distruttive della vita umana: sono i danni e le ferite provocate dal “Protocollo di Maputo”, approvato nel luglio 2003, dall'Assemblea dell'Unione Africana a Maputo, in Mozambico. Lo dice, in una nota inviata all’Agenzia Fides, p. Shenan J. Boquet, Presidente dell’Ong “Human Life International” (HLI), impegnata in tutto il mondo in difesa della vita nascente

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dom

23

set

2012

L’arcivescovo di Juba: ora costruire la pace

“L’unica soluzione è la pace” dice alla MISNA Paulino Lukudu Loro, arcivescovo di Juba e presidente della Conferenza episcopale del Sudan. Lunedì si festeggia il primo anniversario dell’indipendenza del Sud, ma questo missionario comboniano non è solo o soltanto “felice”. Ha servito la sua gente nella anni della guerra civile (1983-2005) e ora non dimentica le sofferenze di chi, anche dall’altro lato del nuovo confine, aspetta ancora giustizia.

Misna - Monsignore, come ha vissuto questo primo anno di indipendenza?

“Sono felice. Finalmente mi sento un cittadino, con un mio paese. Credo che tutti i sud-sudanesi si sentano allo stesso modo. Anche se ci rendiamo conto, tutti, che per molti aspetti è stato un anno difficile. Ma questo non oscura né diminuisce l’importanza, storica, dell’indipendenza”.

In Sud Sudan, però, è già emergenza. Lo scontro con Khartoum sul petrolio ha finito per privare lo Stato di gran parte delle sue entrate. Dopo 22 anni di guerra civile, come si costruisce il futuro?


“Il petrolio è una delle grandi sfide da affrontare. Deve farlo il Sud Sudan e deve farlo il Sudan, entrambi paesi appena nati. Il blocco delle esportazioni causato dai contrasti con Khartoum sulle tariffe per il transito del greggio è un fatto molto negativo, che nessuno voleva. Ad avere le responsabilità maggiori è però il Sudan, che non ha mai provato a negoziare su basi di uguaglianza. La conseguenza è che adesso mancano i fondi non solo per le scuole ma anche per garantire la sopravvivenza stessa delle persone”.

A Juba si festeggia mentre in diverse regioni del Sudan, dai Monti Nuba al Nilo Blu, si continua a combattere…

“Sono in molti a soffrire. Ci sono migliaia di sud-sudanesi trattati duramente dal governo di Khartoum e ci sono, certamente, i Nuba. Questo popolo vive in Sudan, intendo dire dall’altra parte del confine, dove hanno sempre avuto la loro terra. È un popolo che sta subendo restrizioni, violenze e abusi e questo è inaccettabile. L’unica soluzione è la pace. Per prima cosa il Sudan deve accettare di parlare di pace”.

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dom

23

set

2012

Siria: ad Homs civili evacuati grazie al Comitato interreligioso Mussalaha

Due famiglie cristiane

hanno potuto lasciare il centro storico di Homs

e sono state tratte in salvo. 

Radio Vaticana - Lo riferisce l’agenzia Fides che parla di un accordo fra forze governative e forze dell‘opposizione, promosso dal Comitato popolare interreligioso "Mussalaha" ("Riconciliazone"), che sembrerebbe favorire la soluzione della crisi dei civili intrappolati a Homs. Attualmente quasi 200 famiglie, fra cristiane e musulmane, sono bloccate nei quartieri di Bustan Diwan e Hamidiyeh, rimaste per giorni nel mezzo del fuoco incrociato. I tentativi di salvarle erano falliti. Ora tali quartieri - riferisce l'agenzia Sir - non sono più bersaglio di bombardamenti dell‘esercito regolare e la tensione sembra essere leggermente calata.

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dom

23

set

2012

17 anni fa il genocidio di Srebrenica costato la vita a 8 mila musulmani bosniaci

Sono migliaia le persone affluite stamani a Srebrenica, situata nell'entità serba della Bosnia ed Eregovina, per partecipare alla cerimonia di commemorazione delle vittime del genocidio di 17 anni fa, costato la vita ad oltre 8 mila musulmani bosniaci

Radio Vaticana - Il presidente americano, Barack Obama, ha condannato i tentativi di negare il genocidio ed ha espresso soddisfazione per i processi all’Aia dei due principali responsabili del massacro, Ratko Mladic e Radovan Karadzic. Da quel drammatico giorno, l’11 luglio 1995, Srebrenica è diventata una questione di coraggio. Chi non lo ha avuto? Risponde, al microfono di Emanuela Campanile, il giornalista e scrittore Luca Leone, esperto di Balcani:ascolta

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dom

23

set

2012

La Caritas non dimentica i terremotati di Haiti: 119 progetti di solidarietà per 16 milioni di euro

 

A due anni e mezzo dal violento sisma che l’ha sconvolta, “Haiti si presenta come un Paese ancora in bilico: in attesa degli aiuti internazionali, dello sviluppo definitivo, di quel salto che possa garantirgli l’inizio di un nuovo percorso.  

Radio Vaticana - Un Paese con poche forze che stenta a rialzarsi”. L’analisi – riferisce l’Agenzia Sir - è contenuta nel rapporto “Caritas italiana ad Haiti: un impegno di comunione”. Dopo due anni e mezzo, Caritas italiana continua a restare accanto alla popolazione locale. Finora, si legge nel rapporto, sono 119 i progetti di solidarietà avviati, per quasi 16 milioni di euro, per l’assistenza degli sfollati (5), ma anche, nella prospettiva della ricostruzione, per la formazione (27), l’animazione e l’istruzione, e in ambito socio-economico, idrico-sanitario, agricolo (63). I fondi raccolti grazie alla solidarietà di moltissime persone, singolarmente e attraverso le parrocchie delle diocesi italiane in seguito alla colletta nazionale indetta dalla Cei, ammontano a € 24.735.118,19 (dati al 20/06/2012). “È stato così possibile pianificare e realizzare progetti strutturati e pluriennali”. I tutto all’insegna della “comunione” perché, spiega il direttore Caritas, don Francesco Soddu, “l’ascolto è il primo pilastro” dei progetti: “è condizione essenziale per apprendere, comprendere, entrare in relazione e creare basi di comunione con la popolazione locale”.

Il rapporto è consultabile su www.caritasitaliana.it.

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ven

21

set

2012

Algeria, le vittime dimenticate della Hedia

Esattamente cinquant’anni fa, una nave mercantile con a bordo diciannove marinai italiani scomparve nel nulla nel Canale di Sicilia. «Mare in tempesta forza 8», riferì l’ultimo messaggio inviato via radio. Poi il silenzio.

E-ilmensile - Un silenzio asso rdante che circonda tutt’oggi la verità sul mistero della nave Hedia, dispersa a largo delle coste del Nord Africa il 14 marzo 1962. Benché la furia del Mediterraneo ispiri da sempre spaventose leggende che tormentano le notti dei marinai, il presunto naufragio della Hedia venne seguito da illazioni e voci contraddittorie che ipotizzarono il siluramento del bastimento da parte della marina militare francese.


Un tragico errore, evidenziato qualche mese dopo da una foto che ritraeva alcuni dei marinai italiani imprigionati in Algeria. Riconosciuti «senza possibilità di equivoci» dai familiari, cercati e mai ritrovati. Forse finiti loro malgrado nelle trame di un intrigo internazionale con sullo sfondo la guerra franco-algerina. A distanza di cinquant’anni è giusto provare a sollevare il velo d’oblio steso troppo frettolosamente sulla sorte toccata a quegli uomini, ripercorrendo la storia dimenticata di quello che Gianni Roghi definì sull’Europeo il «più incredibile giallo marinaro di questo secolo».

Un viaggio tranquillo – Per la nave da carico Hedia, 4300 tonnellate di stazza, bandiera liberiana, doveva essere l’ultimo viaggio. Da Ravenna fino in Spagna e ritorno con uno scalo intermedio a Casablanca. Poi basta, la società armatrice, la Compagnia Naviera General S.A. di Panama, aveva intenzione di farla rottamare. Quarantasette anni in mare erano troppi persino per una robusta barca di fabbricazione svedese, appena revisionata e apparentemente in buone condizioni.

La mattina del 16 febbraio 1962, sotto il cielo grigio della costa romagnola, la Hedia prese il largo con a bordo venti persone: diciannove italiani e un gallese. La cronaca di quei giorni trasmessa puntualmente via radio dal comandante Federico Agostinelli di Fano alla moglie, fece pensare ad un viaggio tranquillo, senza problemi, almeno fino al 5 marzo, quando la nave scaricò come da programma alcune tonnellate di concimi chimici a Burriana, ripartendo successivamente vuota verso il Marocco. Il 10 marzo a Casablanca, i marinai italiani caricarono quattromila tonnellate di fosfati attesi a Venezia e ripartirono per l’ultima volta, incuranti della burrasca che infuriava in quelle ore nel Canale di Sicilia.

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ven

21

set

2012

P. Mike, profeta e martire del moderno Sri Lanka

 

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ven

21

set

2012

In Europa quasi un milione di persone ridotte in schiavitù

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), secondo quanto riferito dall’agenzia Zenit, ha effettuato un’indagine sulla situazione della schiavitù nell’Unione Europea.

Radio Vaticana - Dai dati emersi sarebbero quasi un milione, soprattutto donne, le persone ridotte in schiavitù per sfruttamento sessuale (270mila) o lavoro forzato (670mila). Ci sono, inoltre, migliaia di adulti e bambini costretti ad esercitare attività illecite come ad esempio l’accattonaggio. Provengono dall’Asia, dall’Africa e dell’Europa centrale e sudorientale le donne che vengono sfruttate in traffici di matrice sessuale, mentre al lavoro forzato sono obbligati soprattutto cittadini comunitari, impiegati in settori agricoli, edilizi, manifatturieri e domestici. Beate Andrees, direttore del programma dell’Ilo contro il lavoro forzato, ha spiegato che “le vittime sono ingannate con false offerte di lavoro, per poi scoprire che le condizioni sono peggiori di quello che speravano” e ha sottolineato che sono tanti coloro che, essendo immigrati irregolari, non hanno potere contrattuale. Secondo il direttore, il fenomeno è in crescita, soprattutto a causa della crisi economica che rende le persone più vulnerabili agli abusi.

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ven

21

set

2012

Afghanistan: due attacchi uccidono la responsabile per i diritti delle donne e un capo dell'intelligence

I due attacchi si sono verificati fra ieri e questa mattina. Hamina Safi a capo del dipartimento degli affari femminili della provincia di Laghman è stata uccisa da un ordigno piazzato nella sua auto. Ahmad Khan militare di spicco e politico vicino a Karzai è morto per un attentato suicida costato la vita a 22 persone. Nessuno ha rivendicato gli attacchi

Kabul (AsiaNews) - Continuano gli attacchi contro personalità di spicco afghane. Questa mattina ad Aybak (Samangan) un ordigno ha ucciso Ahmad Khan, capo dell'intelligence della provincia di Samangan. L'attentato, avvenuto durante una festa di matrimonio, ha fatto 22 morti e oltre 40 feriti. L'attacco si è verificato a un giorno dalla tragica morte di Hanifa Safi (nella foto), responsabile del Dipartimento per gli affari femminili della provincia orientale afghana di Laghman (Afghanistan orientale), fra le donne più influenti dell'Afghanistan, uccisa da un ordigno piazzato sotto l'auto nella quale viaggiava insieme al marito. Al momento nessuno ha rivendicato i due attacchi. Questa mattina i leader talebani hanno diffuso un comunicato nel quale negano qualsiasi coinvolgimento. Secondo gli esperti l'attacco contro Khan è legato alla diatribe fra gruppi etnici afghani per il controllo del Paese. Di origine uzbeka, egli era un grande sostenitore della fazione pashtun del presidente Karzai, che in questi anni ha tessuto diverse alleanze con etnici uzbeki e tajiki nel tentativo di dare il via a una riconciliazione con i talebani.

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ven

21

set

2012

Etiopia: dove la Chiesa arriva anche in motoscafo

«Se c’è la Chiesa tutto diventa fertile! Perfino l’acqua è più buona». Lo pensano in molti a Gambella, in Etiopia, dove la Chiesa ha costruito scuole e mulini e sostiene lo sviluppo dell’agricoltura locale.

Motivo in più per cui in ogni villaggio del vicariato la vecchia e sgangherata jeep bianca di monsignor Angelo Moreschi - vicario apostolico nato a Brescia e da oltre trent’anni in Etiopia - è sempre accolta da una gran festa. «I bambini cominciano a gridare “Abba [Padre] Angelo, Abba Angelo!” e perfino i soldati si fermano a salutarlo», racconta Eva Maria Kolmann, del dipartimento informazione di Aiuto alla Chiesa che Soffre, che ha recentemente visitato il vicariato con delegazione della Fondazione pontificia. Non sempre però il presule arriva su quattro ruote. Quando le piogge sono abbondanti e i fiumi della regione straripano, bloccando ogni strada, monsignor Moreschi prende il motoscafo. Come a Paul, un piccolo villaggio sulle rive del Baro dove Aiuto alla Chiesa che Soffre sta finanziando la costruzione di un centro pastorale. In precedenza gli edifici erano tutti in legno e argilla: una soluzione economica, ma assai poco resistente. «Gli abitanti sono molto orgogliosi della nuova struttura – aggiunge la giornalista – finalmente avranno un luogo dove riunirsi, frequentare il catechismo e celebrare la messa».

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ven

21

set

2012

Bulgaria, colpito bus di turisti israeliani: tre morti

E-ilmensile - Sono almeno tre le vittime di un attentato avvenuto oggi sll’aeroporto di Burgas, in Bulgaria. Le vittime facevano parte di una comitiva di turisti israeliani appena arrivati nella località turistica bulgara sul Mar Nero. L’aereo proveniente da Tel Aviv è atterrato all’aeroporto Sarafovo di Burgas, come riferito dalla televisione commerciale israeliana Canale 10, quando si è avvertita una potente esplosione che ha investito i tre pullman sui quali erano saliti i passeggeri israeliani appena sbarcati. Il ministero degli Interni di Sofia, per ora, non conferma né le vittime né la matrice terroristica dell’accauto. I servizi di emergenza israeliani si stanno organizzando per inviare soccorsi in Bulgaria. Secondo il sito israeliano di Yediot Ahronot, l’esplosione si è verificata all’esterno del terminal dell’aeroporto.

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ven

21

set

2012

Medio Oriente, la strategia della tensione

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha già il colpevole: l’Iran. Subito sostenuto da Ehud Barak, suo ministro della Difesa. Di certo, per ora, ci sono solo le otto vittime dell’attacco suicida avvenuto ieri, 18 luglio 2012, a Burgas in Bulgaria contro un pullman carico di turisti israeliani.

E-ilmensile - ”Ci sarà una forte risposta contro il terrorismo iraniano”, “Perseguiremo gli autori” e via minacciando. Il governo israeliano si è mosso subito, inviando almeno due squadre sul posto. Funziona così: un’unità (di solito con la richiesta di occuparsi personalmente di ricomporre le salme per motivi religiosi) si palesa, un’altra si muove nel territorio nascosta, operazione coordinata dal Mossad, il servizio segreto d’Israele.

L’esecutivo israeliano non ha aspettato neanche poche ore per accusare Teheran. L’assioma è semplice, la data simbolica. Il 18 luglio 1994, a Buenos Aires, una bomba esplose nel centro culturale ebraico della capitale argentina uccidendo 85 persone e ferendone 300. Buenos Aires ha accusato Teheran di aver orchestrato l’attentato con un’autobomba, affidandone poi l’esecuzione al gruppo libanese Hezbollah.

L’Interpol ha chiesto agli Stati membri di arrestare ed estradare in Argentina otto cittadini iraniani: tra loro l’attuale ministro della Difesa Ahmad Vahidi, l’ex Presidente Akbar Hashemi Rafsanjani e l’ex ministro degli Esteri Ali Akbar Velayati. Nel luglio dello scorso anno, il ministero degli Esteri di Teheran promise di avviare “un dialogo costruttivo” e di “collaborare con il governo argentino per fare luce” sui fatti del 1994, negando però ogni coinvolgimento degli otto ricercati.

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ven

21

set

2012

Siria: un milione di sfollati, 30.000 persone fuggite in Libano nelle ultime 24 ore

La situazione attuale in Siria ha bisogno della leale volontà di pace delle parti in causa

di Patrizio Ricci


A Ginevra, il 30 giugno scorso, era stato unanimemente accettata da tutte le parti in causa una risoluzione che prevedeva il graduale passaggio in Siria verso un sistema pienamente democratico. Assad aveva accettato il documento finale di Ginevra e aveva nominato un suo rappresentante per avviare la transizione con l’opposizione e preparare la sua uscita di scena, a patto che avvenisse in maniera sicura e senza vendette settarie. Ma successivamente il piano è stato sconfessato dalla dissidenza armata e ormai sembra chiaro che la guerra imperversi ancora perché l’opposizione sente a portata di mano la vittoria e vuole ottenerla senza condizioni. Per questi motivi, il 19 luglio scorso la Russia e la Cina hanno posto nuovamente il veto alla risoluzione ONU che prevedeva un inasprimento delle sanzioni ma che soprattutto avrebbe anche aperto la strada (senza ulteriori delibere) all’intervento armato: secondo il rappresentante della Cina il documento da approvare era imperniato sulle pressioni da esercitare nei confronti del regime ma senza nulla di analogo a carico degli insorti, cosa del tutto inusitata dopo il terribile attentato a Damasco che aveva causato la morte di alcune delle più alte cariche dello stato.

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ven

21

set

2012

Giovani italiani in missione nelle favelas del Perù con il Movimento di Vita Cristiana

Tre settimane all’insegna delle solidarietà nelle favelas del Perù. Le hanno appena trascorse 55 giovani italiani tra i 15 e i 17 anni aderenti alle Missioni MVC del Movimento di Vita Cristiana. Obbiettivo: la costruzione di 21 abitazioni nei luoghi colpiti dal terremoto del 2007, la realizzazione di aree ricreative e di spazi di culto e lo svolgimento di attività al fianco di anziani e disabili della periferia di Lima e di Cañete.

Radio Vaticana - Ad accompagnare i giovani italiani c’erano sette consacrati del Sodalizio di Vita Cristiana, tra loro Fernando Lozada Baldoceda. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. – La prima settimana abbiamo lavorato in un quartiere molto povero di Lima, una vera e propria favela, con più di 500 mila abitanti provenienti dalle montagne peruviane: gente che abita in case di paglia o di materiali molto umili. Abbiamo costruito un campetto di calcio in cemento e dei giochi per bambini, insieme ad una grotta per la Madonna. La seconda settimana ci siamo poi spostati al sud di Lima, nella città di Cañete, dove abbiamo costruito 21 case prefabbricate, di legno, di circa 24 metri quadrati, in una favela che si chiama Bello Horizonte: lì abitano in vere e proprie capanne di circa 4 metri quadrati. Abbiamo lavorato insieme alle famiglie e ci hanno aiutato in tutto, anche perché alcuni terreni erano veramente impossibili: era necessario appianare e livellare il terreno, dove verrà poi posto il pavimento. Si lavorava con martelli pneumatici per scavare la roccia. E’ stato veramente qualcosa di molto importante per loro e questo lo si capisce da come ci hanno ringraziati.

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ven

21

set

2012

Cina: caos, morte e distruzione per il cataclisma più forte degli ultimi 60 anni

Una tormenta durata oltre 10 ore ha portato morte e distruzione tra le strade principali di Pechino, provocando fiumi d’acqua che hanno inondato i passaggi sotterranei e le metropolitane, causando la morte per annegamento di diverse persone.

Radio Vaticana - Si tratta del cataclisma più intenso registrato negli ultimi 60 anni nella capitale cinese - riferisce l'agenzia Fides - che ora vive nel caos, tra strade sommerse, tetti distrutti e 80 mila persone isolate nell’aeroporto principale di Pechino dove sono stati cancellati oltre 500 voli. Secondo quanto riferito dall’agenzia statale di notizie Xinhua, l’ultimo bilancio ufficiale parla di 37 morti. Tra queste, 25 sono affogate a causa delle inondazioni che, in alcuni punti della città, hanno raggiunto i 4 metri di altezza.

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ven

21

set

2012

Caritas Libano: cresce il flusso disperato dei profughi siriani

Oltre 47 mila persone vivono in campi di fortuna e tende, con un alto rischio di epidemie. Le loro condizioni sono terribili. A tutt'oggi il governo libanese non concede l'autorizzazione per un campo rifugiati.

 Beirut (AsiaNews) -"Nei campi profughi al confine con la Siria la situazione è terribile e peggiora di giorno in giorno. Migliaia di rifugiati varcano la frontiera tentando di fuggire dall'inferno siriano. La maggior parte sono donne e bambini. La sofferenza di queste persone è enorme, ovunque si sentono lamenti di disperazione, odio, vendetta; in molti si sentono abbandonati da Dio". È quanto racconta ad AsiaNews p. Simon Faddoul, presidente di Caritas Libano. Il sacerdote parla di oltre 47mila profughi che hanno trovato rifugio nella valle della Bekaa e nei campi di fortuna sul confine settentrionale fra Siria e Libano. Essi giungono soprattutto dalle provincie a maggioranza sunnita di Homs e Hama, le più colpite dalla guerra fra regime e ribelli. Da alcune settimane stanno arrivando anche molti musulmani alawiti e piccoli gruppi di cristiani provenienti da Damasco e Aleppo. Oggi, oltre 8mila persone hanno varcato il confine.

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ven

21

set

2012

Giordania: sempre più rifugiati siriani, conflitto a fuoco al confine

Truppe siriane hanno aperto oggi il fuoco contro un gruppo di circa 300 rifugiati che stavano oltrepassando la frontiera con la Giordania.

Misna - Lo ha riferito un portavoce del governo di Amman smentendo notizie precedentemente diffuse da alcuni media di scontri fra soldati giordani e siriani. I militari giordani, ha detto la stessa fonte, non hanno risposto al fuoco. Secondo il Jordan Times però un conflitto a fuoco, seppure di minore entità, ci sarebbe stato attorno al villaggio di Al Turra dopo che i siriani “avevano mirato per errore contro un militare giordano”. Lo scontro sarebbe durato una quindicina di minuti e non avrebbe causato né vittime né feriti.

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ven

21

set

2012

Madre di una dissidente cattolica si dà fuoco. Ira e sconcerto fra i vietnamiti

Dang Thi Kim Lieng si è auto-immolata davanti agli uffici governativi della provincia meridionale di Bac Lieu. La figlia Maria Ta Phong Tan, ex poliziotta convertita al cristianesimo, è in carcere in attesa di processo. Rischia fino a 20 anni di galera per propaganda contro lo Stato. Attivisti per i diritti umani e blogger: accuse pretestuose.

 Hanoi (Asianews) - La comunità cattolica vietnamita è sotto shock per la morte di Dang Thi Kim Lieng, madre di Maria Ta Phong Tan (nella foto), famosa dissidente in carcere in attesa di processo e che rischia fino a 20 anni di prigione. La donna si è data fuoco di fronte agli uffici governativi nella provincia meridionale di Bac Lieu, per protestare contro gli abusi delle autorità che tengono in prigione la figlia privandola dei diritti di base. Il decesso causato dalle gravi ferite inferte dalle fiamme ha scatenato la reazione di molti blogger del Paese, che puntano il dito contro il partito comunista e i leader di governo colpevoli di attuare una politica di repressione e di violare in modo sistematico la libertà di religione e di pensiero, con accuse pretestuose fra cui "propaganda contro lo Stato".

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ven

21

set

2012

Giappone, proseguono le impiccagioni, segnale di assenza di leadership

Amnesty International - Junya Hattori, 31 anni, condannato a morte nel 2002 per lo stupro e l'omicidio di una ragazza di 19 anni, e Kyozo Matsumura, 31 anni, condannato a morte nel 2007 per aver ucciso due familiari, sono stati impiccati rispettivamente a Tokio e a Osaka. Dopo l'intero 2011 trascorso senza esecuzioni, quest'anno il Giappone ha eseguito già cinque condanne a morte. In attesa dell'impiccagione restano ora 130 prigionieri. Amnesty International si è detta rammaricata per il fatto che anche il nuovo ministro della Giustizia, Makoto Taki, nominato all'inizio di giugno, abbia autorizzato l'esecuzione di condanne a morte. Così facendo, sottolinea l'organizzazione per i diritti umani, le autorità giapponesi scelgono di trincerarsi dietro il sostegno dell'opinione pubblica piuttosto che dimostrare leadership impegnandosi verso l'abolizione della pena capitale.


Invita quindi “a superare chiusure e paure” per aprirsi “all’incontro con gli altri, anche se diversi da noi, riconoscendoci tutti membri di un’unica famiglia umana con un comune destino”. E’ necessario accettarsi e rispettarsi reciprocamente: “Nella sacralità della vita, nelle scelte della coscienza, soprattutto in materia religiosa e nella dignità di ogni persona. Siamo chiamati ad unire le nostre energie spirituali e materiali – ha aggiunto il presule - per collaborare, con fiducia e speranza, all’edificazione di società più giuste e solidali, che possano vivere in pace ed armonia”.

“Nel cuore di ogni essere umano e tra i popoli – osserva - si annida la tentazione dell’egoismo, della sopraffazione, del dominio, dell’accaparramento dei beni, spesso attraverso l’inganno, la violenza, la guerra. Tutti, credenti in Dio e persone di buona volontà, dobbiamo reagire a tale rischio ponendoci a servizio della pace, sostenuti dai valori spirituali delle nostre tradizioni”. Mons. Celata invoca dunque il dono della pace: “Gesù è la nostra pace; Gesù ci dona la vera pace” definendo "beati" i pacificatori “perché saranno chiamati figli di Dio”.

Oggi mons. Celata ha visitato anche il Museo della Bomba Atomica e partecipato alla Marcia per la pace ad Hiroshima.

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sab

12

mag

2012

30 morti in Siria: attesi altri 24 militari Onu

30 morti in Siria: attesi altri 24 militari Onu

Trenta persone, tra cui due bambini, sono state uccise ieri dalle forze governative in Siria, secondo Comitati locali dell'opposizione.

 Radio Vaticana - Sempre più parziale, dunque, il cessate il fuoco stabilito dal piano di pace dell’inviato speciale di Onu e Lega Araba, Annan. Per un controllo sul territorio sono operativi da ieri a Damasco sei osservatori dell’Onu disarmati ai quali si aggiungeranno nelle prossime ore 24 militari delle Nazioni Unite. Della situazione in Siria, Fausta Speranza ha parlato con Antonio Ferrari, a lungo inviato del "Corriere della Sera" in Medio Oriente:

R. – Se pensiamo ad un “cessate il fuoco” con i mezzi pesanti, la cosa potrebbe essere addirittura possibile; ma un cessare l’utilizzo delle armi – da come abbiamo visto in questi giorni – purtroppo non c’è stato. Non c’è stato perché l’instabilità del regime è molto grande: da una parte si accetta – almeno in linea di principio – il piano Annan, però poi in sostanza la situazione è rimasta, grosso modo, quella di prima - con la diminuzione di attacchi attraverso mezzi pesanti - per soddisfare quelle che sono le richieste del piano Annan e per la continuazione delle violenze. Magari diverse, con armi leggere ed anche violenze fisiche-psicologiche, nei confronti di ciascuno dei cosiddetti “nemici del regime”.

D. – Qual è la situazione a Damasco: una città quasi compatta intorno al presidente, è così?

R. – Io non credo. Credo che a Damasco si sia concentrato tutto l’apparato di sicurezza del regime, del clan degli Assad, quindi anche del presidente Bashar el Assad. E’ evidente: visto che lo sforzo maggiore è stato fatto lì, Damasco si ritrova come stretta nella morsa del controllo dei servizi di sicurezza, quindi è anche logico che sia stata più o meno preservata. Dico “più o meno” perché ci sono stati degli attentati anche a Damasco, attentati sporadici, soprattutto da parte di militari che sono passati nel gruppo dei militari "liberi", assieme all’opposizione, e cercano così di fare la loro parte nei confronti del regime. Quindi, una Damasco in fiamme, essendo la capitale, sarebbe veramente il prologo di una immediata uscita di scena di Assad e del suo clan, dal vertice della Siria.

D. – Parliamo di forze economiche del Paese: stanno dalla parte di Assad o comunque stanno dalla parte della conservazione dello status quo, si stanno muovendo, riassestando in nuovi equilibri?

R. – La situazione economica del Paese, è una situazione in questo momento abbastanza delicata, al di là anche delle fortune personali dell’intero apparato di questo clan, che per oltre 40 anni ha gestito il potere in Siria. Ci sono state delle direttrici importanti: innanzitutto, per la Siria c’è stata la produzione di petrolio. Una produzione limitata – 400/450 barili al giorno – utilizzata nei tempi della guerra all’Iraq come “swap”, come scambio. Durante la guerra degli Stati Uniti contro l’Iraq, ha avuto un atteggiamento più possibilista nei confronti dell’odiato Saddam Hussein e questo a cosa ha portato? Ad acquistare petrolio ad un prezzo molto favorevole da Saddam Hussein, che ricompensava la Siria per il suo atteggiamento, per il suo non intervento nei confronti dell’Iraq e affianco degli alleati occidentali, soprattutto degli americani. Ma questo che cosa consentiva, visto che parlavo di “swap”? Consentiva di comprare petrolio a prezzo di favore – a prezzo “politico” – per poter vendere a prezzo di mercato il suo. Questo è andato avanti e ha creato anche una forte componente di raccolta di valuta pesante, di valuta importante. Si sa, per esempio, che le riserve del Paese, che pare non siano state ancora particolarmente esaurite – erano notevoli dall’inizio della "primavera": molti soldi sono serviti al regime proprio per organizzare la sua tenuta nei confronti dell’avanzata e degli attacchi degli oppositori – ma si sa che queste riserve potranno ancora resistere (parlo di riserve ufficiali) per alcuni mesi, non per tanto. A queste chiaramente il regime si appoggia, dal punto di vista economico. Non dimentichiamo poi che c’è un terzo elemento molto importante, che ha sfibrato le strutture dell’economia siriana, e cioè il rapporto con il Libano. Nel rapporto con il Libano – al di là dell’occupazione di tanti anni per cui la Siria è considerata quasi un protettorato – c’è un rapporto economico molto forte, sia a vantaggio della Siria sia a vantaggio del Libano. Della Siria, perché attraverso il Libano poteva far partire tutti i suoi traffici, alcuni anche border line; e del Libano, che ha almeno un milione di persone imparentate con siriani e che sfrutta, appunto, il canale di terra perché è il canale più logico, più normale: da Beirut a Damasco ci sono due ore e mezzo di macchina. Cosa è successo? Anche per i libanesi, paradossalmente - pur essendosi liberati dei soldati siriani - questo è diventato un grosso problema. Le banche libanesi in Siria, praticamente, non lavorano più e tutta quella serie di beni, che erano destinati a gran parte del mondo arabo e la cui direttrice più normale era passare attraverso la Siria e poi da lì distribuirsi in tutta la penisola arabica ed anche in altri Paesi; questo canale adesso è chiuso e quindi c’è rischio di soffocamento anche per gli interessi libanesi. E poi, c’è tutto un giro di rifornimenti militari che, partendo dall’Iran o attraverso l’Iran, potrebbero raggiungere la costa siriana e favorire, ovviamente, il regime – le strutture del regime – e non certo gli insorti. Quindi, vediamo che dal punto di vista economico c’è una situazione frastagliata: da una parte, come dicevo, ci sono i grandi patrimoni (ovviamente continuano ad esistere patrimoni privati) mentre dall’altra c’è una situazione di oggettiva fragilità di un Paese che non ha altre risorse, se non quelle che ho elencato. (cp)

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Messico, la strage degli innocenti
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Da Washington - Negli ultimi 6 anni in Messico sono scomparse 25 mila persone fra le quali parecchi bambini. I dati sono stati resi noti alla fine del mandato del presidente Felipe Calderon, dall’avvocato generale delloStato che ha anche quantificato [...]
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Bambine violate: la buona guerra di suor Giustina - Avvenire
avvenire.ita.newsmemory.com
L a battaglia di suor Giustina Zanato ricorda quella di Dorothy Stang, la religiosa americana assassinata nel febbraio del 2005 dai killer di potenti fazendeiros di Anapu, nello Stato amazzonico del Parà. Suor Dorothy lottava per garantire ai più bisognosi un fazzoletto di terra da poter coltivare i...

dom

19

mag

2013

Bambine violate: la buona guerra di suor Giustina

La coraggiosa salesiana veneta e il mercato delle ragazze comprate per un pugno di reais

DA SÃO GABRIEL DA CACHOEIRA

GHERARDO MILANESI

L a battaglia di suor Giustina Zanato ricorda quella di Dorothy Stang, la religiosa americana assassinata nel febbraio del 2005 dai killer di potenti fazendeiros di Anapu, nello Stato amazzonico del Parà. Suor Dorothy lottava per garantire ai più bisognosi un fazzoletto di terra da poter coltivare in pace; suor Giustina aiuta le ragazzine più disperate di São Gabriel da Cachoeira, la piccola cittadina dell’Amazzonia al confine con la Colombia e il Venezuela, a rifarsi una vita la-sciandosi alle spalle un passato di abbandono e, spesso, di abusi sessuali. Una cittadina dove il 90% della popolazione è indigena e dove, per le più povere, il sesso diventa spesso merce di scambio per garantirsi la sopravvivenza. Una pratica che coinvolge tristemente anche bambine fra i 10 e i 14 anni e viene denunciata, senza che nulla cambi, dal lontano 2008. Ma che è rimbalzata agli onori delle cronache, diventando un caso nazionale, solo quando la suora salesiana ha fatto sapere che il prezzo pagato per acquistare la verginità di alcune bambine indios di São Gabriel era di 20 reais, meno di 8 euro e, in altri casi, le ragazze venivano comprate addirittura con una scatola di caramelle.

 

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dom

19

mag

2013

Suor Giustina Zanato fma

 

Suor Giustina Zanato fma


Nasce a Marostica (Vicenza) nel 1949, ma sin dai primi mesi di vita si trasferisce a Nibbiola. In gioventù si consacra tra le figlie di Maria Ausiliatrice ed esercita l'insegnamento scolastico e l'impegno catechistico in numerose comunità salesiane del novarese, oltre a collaborare attivamente con il Centro Diocesano Giovanile di Novara.

 

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dom

12

mag

2013

Narcos e mafie in Russia

L’arresto, poco più di un mese fa (30 gennaio 2013), nell’aeroporto Sheremetyevo di Mosca, di un sacerdote colombiano “mula” con un chilogrammo circa di cocaina nello stomaco contenuta in alcuni preservativi, ci offre lo spunto per dare nuovamente uno sguardo a cosa sta accadendo in Russia sul versante del narcotraffico internazionale. 

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dom

12

mag

2013

Iraq, dieci anni dopo l'invasione

In un rapporto diffuso l'11 marzo 2013, Amnesty International ha affermato che, 10 anni dopo l'invasione diretta dagli Usa che abbatté il brutale regime di Saddam Hussein, l'Iraq resta intrappolato in un orribile ciclo di abusi, tra i quali gli attacchi contro la popolazione civile, la tortura nei confronti dei detenuti e i processi irregolari.

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dom

12

mag

2013

Mali: timori per un 'contagio' jihadista. Il Sahel guarda all'Onu

“Il mondo occidentale non ha alcuna idea di quello che il Sahel era perché la storia lo ha portato assieme alla Nato a prestare maggiore attenzione all’Iraq e all’Afghanistan, ma potenzialmente il Sahel è molto più pericoloso, molto più di quest’ultimo”.  

 

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dom

12

mag

2013

Iraq: a Baghdad si aggrava il bilancio degli attentati

È salito a 50 morti il bilancio delle vittime delle esplosioni a catena che hanno colpito oggi diversi quartieri sciiti e nel sud della capitale irachena alla vigilia del decimo anniversario dell’invasione americana in Iraq.  

 

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dom

12

mag

2013

Siria: Aleppo, lanciate armi chimiche sui civili

A Khan al-Assal, nella provincia di Aleppo, 25 persone sono morte asfissiate da un gas e 110 sarebbero in gravi condizioni. Regime e ribelli si lanciano accuse reciproche sul possesso e il lancio di armi chimiche. Per il segretario generale dell'Onu l'azione "è un crimine oltraggioso

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dom

12

mag

2013

Africa: tratta degli esseri umani, un'epidemia silenziosa

“La tratta di esseri umani è la prima fonte di profitto al mondo dopo le droghe e le armi leggere”: lo ha sottolineato suor Maggi Kennedy, religiosa della congregazione delle Suore missionarie di Nostra Signora d’Africa, in occasione dell’inaugurazione a Roma di una mostra fotografica dedicata alla lotta contro la schiavitù.  

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dom

12

mag

2013

Perù: emergenza ambientale in Amazzonia, la voce degli indigeni

“Questa misura mette solo in evidenza quello che per molti anni i governi di turno, incluso quello attuale, hanno voluto nascondere. I popoli indigeni non si fidano né credono nelle decisioni del governo: riteniamo che sia solo un tentativo di dirci che sono preoccupati per la nostra gente, ma di fatto non hanno alcuna intenzione di sistemare le cose”. 

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dom

12

mag

2013

La Turchia rimanda in Siria centinaia di rifugiati

Amnesty International ha definito "un gesto di profondo disprezzo per l'incolumità delle persone" la decisione della Turchia di rimandare in Siria circa 600 rifugiati, il 28 marzo. 

 

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dom

12

mag

2013

Siria: marzo il mese più sanguinoso dall'inizio della guerra civile

Marzo è stato il mese piu' sanguinoso in due anni di conflitto in Siria, con piu' di 6 mila morti. Questa la cifra fornita dall'Osservatorio siriano per i diritti umani, che fa capo all'opposizione: più di 2 mila i civili rimasti sul terreno. I morti tra i lealisti sono stati quasi 1500. Sentiamo Marina Calculli: ascolta 

 

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dom

12

mag

2013

Anche nel conflitto siriano i bambini pagano il prezzo più alto

Abbandonati. Torturati. Violentati. Venduti. Uccisi. Bambini privati della loro infanzia. Sono i piccoli siriani che, secondo l’ultimo rapporto Syrias’s Children: a lost generation? («Bambini della Siria: una generazione perduta?») del Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (Unicef), corrono il rischio di avere una vita segnata. Per sempre. 

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dom

12

mag

2013

A Damasco il pane è un bene di lusso, nel nord si sopravvive mangiando erba

 

Fonti di AsiaNews raccontano la vita nella capitale dove la guerra ha messo in ginocchio anche le famiglie più ricche. Migliaia di persone sopravvivono con le misere sovvenzioni del governo. Per superare l'inverno la gente ha disboscato i parchi pubblici. Code di sei ore per un pezzo di pane e un litro di benzina

 

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dom

12

mag

2013

Crisi, giovani in fuga dall'Italia

Dati dell'Aire: boom di emigrati nel 2012: +30% 

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dom

12

mag

2013

Amhed, il combattente siriano di 8 anni

In Africa c’è la piaga dei ‘bambini soldato’, ad Aleppo li chiamano ‘combattenti’

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dom

12

mag

2013

Egitto: tensioni tra cristiani e gruppi islamici, sei morti in tre giorni

Quattro copti e un musulmano uccisi da armi da fuoco a Khosous. Gli imam hanno incitato alla violenza contro i cristiani. Bruciati un asilo e case di cristiani. Ai funerali nella cattedrale di san Marco, un gruppo attacca il corteo funebre con molotov e pietre. Morsi e al-Azhar condannano le violenze. La polizia quasi assente. I cristiani accusano il governo di non garantire alcuna sicurezza per la minoranza.

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dom

12

mag

2013

Afghanistan, nuovi attacchi contro i civili

A seguito di una nuova serie di attacchi contro la popolazione civile dell'Afghanistan, Amnesty International ha rinnovato la richiesta a tutte le parti in conflitto di prendere tutte le precauzioni necessarie per evitare perdite civili.  

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dom

12

mag

2013

Violenze al Cairo, Papa coopto denuncia negligenza del governo

“Negligenza” e “valutazione errata dei fatti”: sono le accuse mosse oggi al governo dei Fratelli musulmani da Tawadros II, Papa della Chiesa copta d’Egitto, dopo l’aggressione subita domenica dai fedeli che avevano partecipato a una cerimonia funebre nella cattedrale di San Marco al Cairo. 

 

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dom

12

mag

2013

Repubblica Centraficana: «Abbiamo perso tutto, anche la speranza»

 

«Alle 7.55 della domenica delle Palme siamo stati sorpresi dal rumore assordante delle mitragliatrici. Non hanno più smesso di sparare per tre giorni». 

 

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dom

12

mag

2013

Liaoning, abusi contro le donne nei campi di lavoro forzato

La polizia imprigiona anche donne incinte e disabili. Orari di lavoro fino a 14 ore. Negate cure mediche a malate di cancro. Il Partito discute sull'eliminazione dei laojiao (o sulla sua riforma). Un'inchiesta del governo del Liaoning. Hong Kong.

 

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dom

12

mag

2013

Egitto, esercito accusato di torture durante la rivoluzione

L’esercito aprì il fuoco e torturò un numero imprecisato di attivisti durante le rivolte di piazza che nel 2011 portarono alla caduta del regime di Hosni Mubarak: a sostenerlo è un rapporto sottoposto al presidente Mohammed Morsi all’inizio dell’anno e di cui ampi stralci sono stati pubblicati oggi in esclusiva dal quotidiano britannico The Guardian.  

 

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dom

12

mag

2013

Un’onda lunga amara

Vista dall’estero, con gli occhi dei nostri emigranti italiani, questa sembra essere una triste scena: la parabola della nostra Italia

 

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dom

12

mag

2013

Papa Francesco ai senza dimora di Roma: pregate per me, sono a vostra disposizione

 

“Vi ringrazio per il vostro gesto di vicinanza e di affetto. Il Signore vi ricompensi abbondantemente”. 

 

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dom

12

mag

2013

La tribù più povera del Nepal rinasce grazie a una scuola cattolica

Per decenni i Chepang hanno vissuto di stenti nelle foreste del distretto di Chitwan (Nepal centrale). Dal 2011 una scuola cattolica istruisce i bambini e offre opportunità di lavoro per gli adulti. Leader tribale: "La nostra gente è pronta a votare un cattolico se si candiderà alle elezioni per l'Assemblea costituente".

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dom

12

mag

2013

Appello agenzie Onu: fermate il massacro

Fermare “le crudeltà e carneficine” in corso in Siria: è l’appello congiunto che cinque organismi delle Nazioni Unite hanno rivolto alla comunità internazionale. In una nota comune i rappresentanti di Unicef, Oms, Ocha, Pam e Unhcr hanno criticato quello che definiscono uno “scarso senso di urgenza da parte dei governi e le parti che potrebbero contribuire a porre fine alle crudeltà e carneficine in atto”.

 

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dom

12

mag

2013

Mali: jahadisti in fuga, pericolo anche per i paesi vicini

Rappresentano un pericolo per la sicurezza dei paesi confinanti i jihadisti e miliziani dei diversi gruppi armati in fuga dal nord del Mali. 

 

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dom

12

mag

2013

Alla maratona di Boston sono finiti i sogni di Dorothy Lu Lingzi

Diplomata a Pechino, era arrivata a Boston lo scorso settembre. Insieme ad altre due amiche stava partecipando alla maratona. Lu è morta; una delle amiche è ferita in modo grave; la terza è illesa. 

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dom

12

mag

2013

Emergenza fame per un milione e mezzo di bambini nel Sahel

In soli 8 anni nel Sahel sono state registrate tre gravi carestie e la popolazione non ha avuto il tempo per riprendersi. 

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dom

12

mag

2013

Devastante sisma in Sichuan. Oltre 70 morti e 600 feriti

Il bilancio delle vittime è ancora parziale. Le due forti scosse di magnitudo 6.6 e 7.0 si sono verificate questa mattina intorno alle 8,00 ora locale. 

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gio

25

ott

2012

Uccideteci tutti, e poi seppelliteci qui’: appello disperato dei Guarani sotto sfratto

Dopo aver saputo che saranno sfrattati ancora una volta, un gruppo di Indiani brasiliani ha lanciato un drammatico appello al governo.

Da quando sono riusciti a ritornare in una piccola parte della terra ancestrale, questi 170 Indiani, membri della forte tribù dei Guarani (che in Brasile conta circa 46.000 persone) hanno già subito violenze, morte e numerosi attacchi brutali. La loro terra, conosciuta con il nome di Pyelito Kuê/M’barakai, è attualmente occupata da un ranch. La comunità indiana è circondata dalle guardie armate dell’allevatore, con limitata possibilità di procurarsi cibo e cure mediche.

Il loro sfratto è stato ordinato da un giudice il mese scorso.

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"Giorno per giorno": la situazione in Afghanistan
e l'attacco dei Talebani a Kabul continua>>>

Africa, crisi alimentare: madri e bambini del Nigersono i più colpiti

 

Nel 2012 è in Niger che madri e bambini se la passano peggio essenzialmente a causa della crisi alimentare che colpisce il paese del Sahel: lo si evince dal rapporto annuale diffuso dall’organizzazione statunitense ‘Save the Children’ che assegna l’ultimo posto della classifica a Niamey, che subentra a Kabul. continua>>>

"Africa, sognare oltre l’emergenza"
Gino Filippini, 40 anni a fianco degli ultimi

La recensione di LPL della biografia del missionario laico Gino Filippini, che per 25 anni ha “vissuto” progetti di cooperazione internazionale in Burundi, Congo, Ruanda, Tanzania ed infine in Kenya  di Patrizio Ricci... continua>>>

Attacchi in Nigeria: il Governo è debole
e i vescovi hanno perso la pazienza

«Quanto è accaduto va contro ogni logica. Quei ragazzi erano il nostro futuro, la nostra speranza. Cercavano di costruire un Paese migliore e sono stati uccisi». E’ lo sfogo di monsignor Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della conferenza episcopale nigeriana, raccolto da Aiuto alla Chiesa che Soffre dopo gli ultimi attentati anticristiani in Nigeria. ...continua>>>

L’arcivescovo di Damasco racconta il dramma
delle famiglie dei rifugiati siriani

“Ci sentiamo impotenti di fronte al dramma che vive la nostra popolazione. La vita degli sfollati siriani trova speranza solo se incrocia lo sguardo tenero di Cristo, Salvatore sulla Croce”.  continua>>>


Il prezzo di una bambina in Papua Nuova Guinea

Ragazzine barattate in cambio di maiali o animali domestici. Vendute in matrimonio appena adolescenti ...continua>>>

Karthoum vuole la guerra e non permette gli aiuti delle ONG

«Non dobbiamo negare o dimenticarci di questo nuovo conflitto». Christine du Coudray Wiehe, responsabile internazionale della sezione Africa di Aiuto alla Chiesa che Soffre, invita a non distogliere lo sguardo dal confine tra Sudan e Sud Sudan e a pregare affinché le violenze volgano al termine e non si diffondano altrove.

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La Primavera araba non fiorisce in Algeria: vince le elezioni l'eterno Fronte di liberazione nazionale

Mentre l'Egitto esplode di nuovo e la Siria brucia ancora, la primavera araba sembra essersi ritirata dall'Algeria dopo averla appena sfiorata: il Fronte di Liberazione nazionale (Fln), si è emato al potere vincendo le elezioni per l'Assemblea popolare nazionale (il Parlamento algerino). ...continua>>>

Siria, le donne di Homs

Homs non è solo terra di insorti, ma anche di lealisti. Un reportage racconta queste ultime, al femminile  
 E-il mensile - Homs, la terza città della Siria, a pochi chilometri dal confine libanese, è tradizionalmente nota in tutta il Paese per la bellezza delle sue donne. Se si percorrono i quartieri di al-Hamidiya, al-Zahra, al-Arman, Bistan al-Diwan, Hay al-Sabil, al-

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Mali: conflitti senza pietà, a 14 anni in armi con i ribelli

“Sono armati, stanno insieme agli adulti, di guardia o di pattuglia, probabilmente hanno già combattuto, molti non hanno più di 14 anni di età”: una fonte della MISNA raggiunta a Gao, nel nord del Mali conferma la presenza di numerosi minori tra le fila dei gruppi ribelli che da un mese hanno preso il controllo del nord del paese.

Mazara del Vallo: migranti rimpatriati contro ogni legge

Il diritto d'asilo non è stato assicurato a un gruppo di migranti

E -ilmensile - Un gruppo di migranti egiziani sbarcati il 2 maggio in Sicilia sono stati rapidamente rimpatriati senza avere nemmeno la possibilità di accedere alle procedure d’asilo. Si è trattato, infatti, di un’operazione di polizia senza riconoscimento individuale e basata su una sommaria procedura messa in atto da qualche burocrate del

Nigeria, esplosione nei pressi del ministero delle Finanze: almeno 10 morti

Mentre è ancora incerto il bilancio dell’attacco terroristico di ieri a Kano, contro la sede dell’università di Bayero, oggi si è verificato un altro attentato, a Jalingo, capitale dello Stato orientale di Taraba, nei pressi della sede del ministero delle Finanze.

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Perù: bambini-soldato nelle file di "Sendero", condanna dell'Onu

L’Unicef “respinge la partecipazione, diretta o indiretta, forzata o volontaria, di bambini, bambine e adolescenti in qualsiasi situazione di violenza armata”: lo si legge in una nota in cui il Fondo Onu per l’infanzia condanna l’utilizzo di minori da parte dei fronti ancora attivi del movimento guerrigliero ‘Sendero Luminoso’ nella turbolenta Valle dei fiumi Apurímac e Ene (Vrae).

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Sahel: colpo di Stato in Mali aggrava emergenza umanitaria.
La LVIA predispone i primi interventi contro la carestia

In un contesto di forte siccità e crisi alimentare che attanaglia il Sahel, dieci giorni fa con un colpo di Stato l’esercito maliano ha sospeso le libertà civili nel paese

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A cosa serve la politica di rigore se soffoca l’economia reale?

Krugman: “Le misure di austerity non migliorano le dinamiche dei debiti”

 di Patrizio Ricci

Il Premio Nobel per l’economia Paul Krugman è intervenuto sul New York Times per commentare l’articolo apparso sabato scorso sul Times “Suicidi da crisi economica”.

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