La Trinità, la nostra dottrina sociale

 

«Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo»: il mistero dei misteri, che oggi e sempre adoriamo, è davanti a noi, non per umiliare la nostra intelligenza, né per “provare” la nostra fede che spesso non gode di buona salute. Non dobbiamo lasciarci invischiare in un specie di esercizio di banale algebra: Uno = Tre.

Non con il grimaldello della logica si entra in questo mistero, ma con il desiderio di trovare nella SS. Trinità un modello esistenziale e di fede, un modello comunionale, rispettoso dei ruoli, ma egualitario, per la società e per le Chiese.

La Trinità non è un mistero astratto e lontano, ma un modello di vita personale e sociale: «La nostra dottrina sociale è la Trinità», ha scritto il filosofo Nikolay Berdjaev. Così i cristiani entrano in politica, avendo davanti solo il bene del popolo e l’esempio solidale del mistero trinitario. La nostra storia personale e sociale “interessa” alla Trinità, come appare dalle letture di oggi.

S. Paolo sottolinea questo interesse divino, questo “debole” che Dio ha per l’essere umano, con un elenco di doni che hanno come culmine l’effusione dello Spirito Santo. E nel brano evangelico, Gesù per la quinta volta promette il dono dello Spirito Santo e ne spiega il ruolo, che è quello di completare la sua Rivelazione, annunciando un futuro nuovo di amore e di comunione solidale. E il Verbo e lo Spirito Santo agiscono anche oltre il Gesù storico, in tutte le religioni.

E il ruolo del Padre, qual è?

A ritroso arriviamo ora alla prima lettura che è un inno solenne alla sapienza divina. Tale sapienza, in realtà, è Dio stesso, presentato come creatore dell’universo.

Per Dio, creare, è una festa e una gioia, è la gioia di colui che, danzando, inneggia alla vita, a questa vita terrena: così si legge nelle ultime battute del brano: «Mi ricreavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo».

E il nostro pensiero vola al libro della Genesi, in cui l’autore sacro descrive, non scientificamente, ma simbolicamente, la creazione operata da Dio in sei giorni: è un Dio soddisfatto della sua opera; ma gli essere umani costruiscono l’antigenesi, l’anti-creazione. E Dio “piange”.

Alla fine l’essere umano distrusse la Terra.

La Terra era stata bella. / Poi su di essa aleggiò lo spirito dell’uomo / e distrusse tutte le cose. / E l’uomo disse: siano le tenebre. / E sembrò all’uomo che le tenebre fossero buone, / e chiamò le tenebre “sicurezza”; / e divise se stesso in razze, religioni e classi. / Non ci fu sera e non ci fu mattina / nel settimo giorno prima della fine.

E l’uomo disse: vi sia un governo forte, / per regnare su di noi nelle nostre tenebre…

vi siano eserciti per uccidersi / con ordine ed efficienza nelle nostre tenebre; / perseguitiamo e distruggiamo,

qui e fino ai confini della Terra / coloro che ci dicono la verità, / perché noi amiamo le nostre tenebre. / Non ci fu sera e non ci fu mattina / nel sesto giorno prima della fine.

E l’uomo disse: vi siano missili e bombe / per uccidere meglio e più rapidamente. / E vi furono forni e camere a gas / per rifinire il lavoro. / Ed era il quinto giorno prima della fine.

E l’uomo disse: vi siano droghe / e altre vie d’evasione,

perché un lieve e costante fastidio / – la realtà – / ci disturba, nella nostra comodità. / Ed era il quarto giorno prima della fine.

E l’uomo disse. Vi siano divisioni tra le nazioni / perché possiamo sapere / chi è il nostro nemico. / Ed era il terzo giorno prima della fine.

E per ultima cosa l’uomo disse: / facciamo Dio a nostra immagine, / secondo la nostra somiglianza, / e non ci sia un altro Dio / a competere con noi. / Diciamo che Dio pensa come noi pensiamo / che odia come noi odiamo, / che uccide come noi uccidiamo. / Ed era il secondo giorno prima della fine. / Nell’ultimo giorno vi fu / un grande fragore sulla faccia della Terra; / il fuoco purgò il bel pianeta, / e fu silenzio.

E il Signore Iddio vide / tutto quello che l’uomo aveva fatto, / e nel silenzio / che avvolgeva quei resti fumanti, / Dio pianse.

Impegniamoci affinché Dio torni a “sorridere”, assieme a tutto il creato.


 

 

 

Siamo immersi in Dio come siamo immersi nell’aria -

il nostro incontro personale con Dio

 

 

Alla prima lettura di questa pagina del vangelo di Giovanni l’impressione che abbiamo è che sia costituita da una serie di periodi incomprensibili. Verrà una potenza misteriosa che Cristo chiama lo Spirito, che dona la consolazione al cuore degli uomini, che condurrà lentamente la coscienza dei discepoli e di quelli che crederanno in Cristo a un approfondimento della verità. Ora, dice Cristo ai discepoli, voi non potete accogliere, abbracciare, la pienezza della verità, ma lentamente crescerete e lo Spirito Santo vi condurrà di verità in verità. E lo Spirito Santo vi dirà delle cose non sue, ma delle cose che ha ricevuto da me. E le cose che io consegno allo Spirito sono le stesse cose del Padre, perché Io e il Padre siamo una sola cosa. E Io e il Padre e lo Spirito siamo una sola cosa. Però lo Spirito, vedete, tradotto in termini umani, è una novità di vita, è una dilatazione e fecondazione della nostra coscienza, operata non dall’uomo, ma da quelle misteriose forze che, dopo Cristo, tormentano, agitano, fecondano e portano a maturazione la coscienza umana.

E queste parole di Cristo mi risvegliano un pensiero: l’adesione al mistero di Dio, al mistero di Cristo, alla realtà religiosa, non è un fatto cerebrale. Voi studiate la matematica e comprendete la matematica attraverso un procedimento del tutto razionale. Secondo, poi, le vostre forze mentali riuscirete a capire più o meno profondamente la matematica che studiate. La facoltà che lavora in questo approfondimento delle conoscenze matematiche è la vostra ragione, la vostra intelligenza concreta, che parte da dei principi, li sviluppa e capisce sempre di più quelle verità di ordine matematico che volete approfondire.

Ora, invece, la verità religiosa, la realtà religiosa, quello che noi chiamiamo il mistero di Dio, il mistero trinitario di cui oggi commemoriamo l’immagine nella liturgia, il mistero che costituisce il contenuto della nostra fede, non è raggiungibile attraverso un’operazione di intelligenza, di mente concreta, come invece sono acquisibili le nozioni di matematica.

Le verità religiose da dove nascono? Non nascono in nessun punto perché sono in Dio. E Dio dov’è? È in noi. Noi siamo immersi in Dio come siamo immersi nell’aria. Inspiriamo ed espiriamo, l’aria entra in noi ed esce da noi. E così siamo immersi in Dio e dobbiamo trovare il punto giusto di respirazione in Dio perché Dio scenda in noi e ci trasformi e lentamente ci dia tutta quella pienezza di conoscenze che sono Lui e che non raggiungeremo se cominciamo a giocare coi concetti, a giocare con le idee, con le idee razionali. Non ci interessa niente la definizione di Dio, quello che ci interessa è il nostro incontro personale con Dio. Non avviene così anche per noi uomini, quando cominciamo a volerci bene e ad amarci? Questo processo misterioso che ci permette poi la conoscenza dell’altro, la conoscenza reciproca, in una maniera più profonda, non avviene attraverso definizioni. Non è che io per capire voi mi metto davanti alla vostra figura, al vostro nome, a quello che posso conoscere e formulo delle idee. Quando io voglio conoscervi pienamente, vitalmente, vi guardo negli occhi e vi stringo le mani. E se riesco a dirvi: io ti sono amico e tu sei il mio amico, nasce una conoscenza differente che non è formulabile col ragionamento, non è formulabile col linguaggio.

E così anche il nostro incontro col mistero divino non è un incontro con una definizione di Dio, con una definizione della Santissima Trinità, con una definizione dello Spirito Santo o dei Sacramenti, ma è l’incontro con una Persona, con una realtà personale che, quando viene incontrata con intensità e con calore e con verità, scende in noi e ci dà quell’immenso tesoro di verità e di conoscenze che essa contiene. E questo è il primo punto, il primo pensiero che volevo affidarvi. Il nostro incontro con Dio non è mediato da nessuno, da nessuna idea, da nessuna definizione, da nessuna filosofia, ma è un incontro immediato di una persona, della nostra persona singolare con l’infinita persona di Dio. E quando diciamo che Dio è una persona, già lo limitiamo, perché il nostro linguaggio è talmente legato alla nostra natura finita e determinata che, quando lo usiamo per esprimere il mistero della realtà divina, lo troviamo insufficiente, e acquista un altro valore. “Persona” attribuito all’uomo ha un significato ben preciso, che possiamo conoscere in tutti i libri. Quando lo riferiamo a Dio, questo vocabolo crolla proprio sotto il peso della realtà divina che è oltre tutte le nostre nozioni di “persona”.

Ma il punto, mi sembra, sul quale dobbiamo riflettere, è che noi dobbiamo incontrare Dio, io devo incontrare Dio, la mia persona deve illuminarsi della persona di Dio, il mio piccolo Io deve dilatarsi nell’infinito Io divino e, quando questo si compie, la nostra personalità interiore viene totalmente trasformata e arricchita di conoscenze. Questa esperienza Cristo la chiama lo Spirito in noi, lo Spirito che ci dà gioia, lo Spirito che ci dà fiducia, lo Spirito che ci dà confidenza a continuare la nostra esistenza così difficile, così piena di ostacoli. È lo Spirito consolatore che scende in noi e si rivela a noi come una illuminazione, una vita nuova, una vita differente. E abbiamo allora delle conoscenze che crescono mano a mano che il nostro vaso, la nostra persona, si svuota di tutto ciò che è umano, di tutto ciò che nasce dalle nostre teorie, dalle nostre idee, dalle nostre ideologie. E nella misura in cui ripudiamo il nostro interno, lo Spirito di Dio scende in noi, Dio scende in noi, Cristo scende in noi, la Trinità scende in noi e ci arricchisce non di conoscenze concettuali, ma di una saggezza che ci permette di partecipare a tutta la vita con un equilibrio, un amore, un senso di rispetto profondo per tutte le creature e anche con una conoscenza più profonda delle creature, che non ci verrà mai data da nessuna scienza.

Prendete un fiore. Voi avete studiato botanica e lo classificate secondo le categorie di studio perfezionate da altri studiosi. Conoscete il fiore? No! Perché tra voi e il fiore ci sono queste definizioni. La rosa non è mica una definizione! È una forma bellissima che fiorisce per la pura gioia di essere bella e di essere profumata. Il giorno in cui vi mettete davanti alla rosa e vi identificate con la rosa, sentite che la rosa parla a voi e voi parlate alla rosa, avviene una fusione, uno scambio: quel giorno conoscete la rosa. E allora la lascerete sul rosaio, oppure, se c’è una persona che amate, la coglierete perché questa rosa esprima il vostro amore, se c’è una persona ammalata gliela portate al capezzale perché questa rosa dica, con una carica di sentimento, di calore, di umanità, tutto quello che voi non riuscite a dire con le parole vicino al malato. Ecco, vedete come cambia il nostro rapporto con le cose. E questa novità, questa pienezza di conoscenza, viene a noi quando noi viviamo in modo nuovo.

E, certo, quando pensiamo a queste cose, comprendiamo che la vita religiosa è differente da quella che con tanta superficialità noi pratichiamo. Noi crediamo di essere religiosi perché abbiamo imparato a memoria il catechismo e ripetiamo le definizioni del catechismo. I bambini fanno la prima comunione e imparano a memoria il catechismo, imparano a memoria cos’è il pane, cos’è il vino, cos’è il pane transustanziato, il vino transustanziato, e lo ripetono. Ma ancora non conoscono: ripetono delle idee. Il giorno in cui comprenderemo che il pane è la suprema rivelazione di Dio e che noi dobbiamo vivere il mistero del pane con la nostra esistenza, cioè offrendoci continuamente in cibo agli altri, allora il mistero della comunione diventerà per noi conoscenza.

Voi mi chiedete: allora cosa dobbiamo fare di tutto quel bagaglio di nozioni che ci vengono date per guidarci a una più perfetta comprensione del mistero cristiano? Le considereremo come delle piccole cose che ci portano fino alla soglia del Santuario. Ma dopo dobbiamo fare il salto ed entrare dentro, nel Santo dei Santi, per essere trasformati, perché tutte le nostre formulazioni religiose sono un pensiero umano. Anche la professione di fede è un pensiero di teologi greci o di teologi latini che hanno cercato di formulare, nel linguaggio del loro tempo, la fede. Qualche volta queste formulazioni - per il linguaggio ormai sorpassato, per l’approfondimento della mente e della psiche umana, che è avvenuto nel corso di secoli e secoli - possono essere di ostacolo al nostro cammino verso Dio. E allora dobbiamo metterle da parte, perché noi siamo in cammino verso Dio e non verso delle definizioni di Dio. Noi siamo in cammino verso l’incontro con la realtà divina e non siamo in cammino per compiere determinate pratiche religiose.

Anche questa sera noi siamo qui, insieme, e il punto vivo del nostro incontro è un incontro tra noi ed è un incontro soprattutto con il Cristo che torna attraverso il segno del pane e del vino e che ci dice quello che è lui, quello che è Dio. Dio è pane, Dio è nutrimento, è alimento, è realtà che continuamente si consuma perché noi possiamo sopravvivere. Dio è gioia nel vino. Nel vino c’è il canto, c’è la gioia, c’è l’ebbrezza, c’è la danza. Dio è questo. E il giorno in cui riusciremo a incontrare Dio, tutte queste conoscenze scenderanno in noi. Allora dobbiamo essere attenti, sì, agli insegnamenti degli uomini, ma dobbiamo preoccuparci soprattutto di raggiungere la fonte della sapienza.

Perché, vedete, quella pagina del Vangelo che vi ho letto è una pagina sconvolgente. Purtroppo noi ci abituiamo a leggere il Vangelo e ad ascoltarlo senza fermarci, cioè non lo ascoltiamo, sentiamo i suoni nelle orecchie, ma non ci fermiamo, perché quando ascoltiamo, allora la parola di Cristo scende nel nostro essere e lo feconda. Attraverso l’udito Dio feconda il nostro essere con la parola di Dio e quale maestro ci dà? Lo Spirito Santo: vi condurrà di verità in verità. E queste parole non son dette soltanto agli apostoli, ma a tutta la Chiesa. Mano a mano che la cristianità avanza nel tempo c’è anche un approfondimento delle parole di Cristo e questo approfondimento non ci vien dato né dai concili, né dai papi, né dai vescovi, né dai preti, ma ci vien dato dallo Spirito Santo. Il Papa, i vescovi e i preti ci possono dare un insegnamento vero e profondo, che trasforma la nostra coscienza, se ascoltano questa presenza misteriosa che è in tutti noi, non soltanto in loro, ma in tutti noi.

Vedete, se noi amiamo la Chiesa dobbiamo cercare di vivere questa realtà, questa forza, questa energia, che Cristo ci ha promesso e che continuamente agisce nel nostro spirito e che definiamo con la parola Spirito Santo. È, come vi dicevo, uno degli aspetti del mistero complesso della divinità, è la terza persona della Santissima Trinità, ma noi lo viviamo trasformando il nostro essere nell’incontro con Dio. E questa trasformazione ci dà la sapienza, ci dà la fortezza, ci dà l’amore, ci dà la forza, ci dà quelle conoscenze profonde che ci permettono di riuscire a vivere nei nostri tempi così travagliati e così scombinati con piena fiducia e osservando quella mano misteriosa che conduce avanti gli uomini attraverso tutti gli errori degli uomini verso il compimento del loro destino.

Ecco, questo volevo dirvi: il nostro incontro con Dio è un incontro personale. Cara Margherita, io non posso incontrare Dio per lei. Ma bisogna che la Margherita si muova e incontri Dio. E il suo incontro sarà differente da qualunque altro incontro. E quando avverrà questo incontro ci sarà una illuminazione e una trasformazione. Ed è attraverso questa nostra partecipazione al mistero divino, questa nostra donazione totale al mistero divino, che avviene nella Chiesa quell’accrescimento di sapienza, di conoscenza, di impostazione di vita più intensa e più autenticamente cristiana. E qui noi cattolici dobbiamo liberarci dall’ascoltare parole di altri. Dobbiamo avere il più profondo rispetto per le parole che ci vengono dette, ma non è questo che cerchiamo noi. Perché, vedete, se le congregazioni romane che presiedono alla dottrina della fede fossero state di quel valore che noi diamo loro, Cristo l’avrebbe detto: un giorno a Roma si fonderanno questi dicasteri, ascoltateli. No! Dice: ascolta lo Spirito Santo. E lo Spirito Santo io lo ascolto in me, né voi lo ascoltate per me, né io lo ascolto per voi. Ed è attraverso questa nostra trasformazione nella sapienza, nella luce, nella gioia di Dio, che riusciamo a scambiarci dei segni che rendono più saggia, più equilibrata, più giusta, più vera, più spirituale, la nostra Chiesa.

Di qui tutta la nostra responsabilità. Il nostro incontro con Dio è personale e nell’avanzare dell’età noi ci avviciniamo sempre più verso questa sorgente di vita che, scendendo in noi, ci trasforma e ci rende nuovi. E quando un cristiano è trasformato, la Chiesa in questo cristiano è trasformata. Quando un cristiano raggiunge l’illuminazione, la Chiesa in questo cristiano raggiunge l’illuminazione. Quando un cristiano diventa forte, la Chiesa diventa forte in questo cristiano. Quando l’amore nasce nel cuore di un cristiano, ecco la Chiesa nasce nell’amore del cuore di questo cristiano. Sentire questa nostra responsabilità personale di fronte anche al mistero della struttura della Chiesa che ha tutte le sue pesantezze, i suoi difetti e le sue grandezze, ma che noi dobbiamo costruire con le nostre pietre viventi, con la nostra persona.

Allora, concludendo, lo Spirito Santo porterà me e ciascuno di voi a un approfondimento di quelle verità essenziali che l’uomo non può raggiungere col suo cervello, ma che raggiunge soltanto nel silenzio dell’ascoltazione della presenza di Dio. Quel silenzio che permette al nostro essere di accogliere con pienezza, senza resistenze, senza limiti, senza durezze, la fecondazione divina. E lo Spirito Santo è l’energia divina che feconda tutto il creato. Soprattutto feconda la nostra coscienza di uomini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



1 Giovanni Vannucci, omelia pronunciata domenica  05 giugno 1977, festa della SS. Trinità, anno C, durante il rito eucaristico pomeridiano delle ore 18, nell’eremo di San Pietro alle Stinche - Greve in Chianti - FI. Registrata su nastro magnetico e trascritta da Consalvo Fontani. Pubblicata in Nel cuore dell’essere, collana «I mistici» Mondadori editore, Milano, 1998 «siamo immersi in Dio come siamo immersi nell’aria» pag. 102-109; Ripubblicata in Nel cuore dell’essere, nuova edizione ampliata con sei omelie inedite, Fraternità Romena editrice, Arezzo, 2004 «il nostro incontro personale con Dio» pag. 111-118.

 

 

Dentro il cerchio

 

 

 Proverbi: 8, 22-31/ Romani: 5, 1-5/ Giovanni: 16, 12-15

 

Con la Pentecoste abbiamo terminato la rievocazione degli eventi di salvezza, con la festa della Trinità siamo chiamati a riassumerne il senso. Il rischio di ogni rievocazione dei fatti che hanno preparato la nostra identità culturale e di fede, è di rinchiudere noi stessi m una specie di coscienza settaria, di segregarci dagli altri che non sono in grado di ripercorrere «le gesta di Dio» e quindi di abituarci a guardare al mondo che ci è esterno con una sostanziale cecità di fronte a tutto ciò che di diverso gli uomini si raccontano. Quando, celebrando le nostre feste, noi diciamo che tutta la terra esulta, facciamo una attribuzione indebita di esultanza a gente che non esulta. Non tutti gli uomini celebrano i Natali e le Pasque, non per tutti gli uomini il nome di Gesù Cristo ha il senso che ha per noi. E perché facciamo finta che non sia così?

Sono allora richiamato a constatare la misteriosa e meravigliosa contraddizione di cui ci forniscono i termini le pagine della Scrittura. Da una parte c’è un riferimento a Gesù Cristo che ci permette di dirci cristiani. Noi ci riferiamo a quel Gesù di Nazareth che in un certo momento del tempo, in un certo luogo dello spazio ha enunciato un messaggio. Fin dai primi anni dopo la sua scomparsa sono stati detti cristiani coloro che accettano quel messaggio e che nella elencazione che noi facciamo delle famiglie spirituali del mondo, fanno numero con i musulmani, con gli induisti... I cristiani sono una religione fra le altre. Essi possono risolvere questo scandalo dicendo che le altre sono bugiarde e false o, con le parole di Dante, che ci sono «gli dei falsi e bugiardi» e che solo il nostro è il vero Dio. Questo atteggiamento, quasi generale fino a qualche tempo fa, oggi è intollerabile. Lo stesso insegnamento della Chiesa lo ha abbandonato. Che cosa sono allora le altre religioni? Semplicemente delle approssimazioni alla nostra? Anche questa valutazione benevola è viziata da orgoglio. Per uscire da questa contraddizione, rimanendo nei termini autentici della fede liberata dalle sovrastrutture culturali che l’hanno come calcificata, basta riflettere, sulla stessa scorta delle pagine odierne, su cosa significhi il mistero della Trinità.

Intanto c’è una verità, su cui vorrei particolarmente insistere: quel Gesù di Nazareth vissuto fra noi, noi lo chiamiamo Verbo di Dio, sapienza di Dio fatta carne. La sua vera identità, questo vogliamo dire, non è tanto nella particolarità spazio-temporale in cui è vissuto, uomo fra gli uomini, ma in questo ruolo primordiale di Sapienza che assiste come architetto il Padre che crea le cose. E accanto al Padre mentre traccia il cerchio sull’abisso, prepara le sorgenti delle acque, stabilisce cioè l’evoluzione del mondo. Questa sapienza trova delizia nello stare fra i figli degli uomini. Esiste dunque un cerchio che circonda l’universo da noi sperimentato - quello fisico e quello storico - dentro il quale tutto ciò che è attinge da una stessa sapienza, trova significato in questa primordiale architettura che noi non possiamo tradurre, come si farebbe in una retta filosofia, in concetti chiari e distinti, perché ogni concetto è dentro il cerchio. Chi potrà mai descrivere il cerchio dentro cui tutto è inscritto? L’universalità non è un punto raggiungibile dalla nostra intelligenza, ci circonda come l’oceano insondabile delle antiche cartografie, ma non così insondabile da non potervi riconoscere una sapienza amorosa.

Quando io dico: «Credo nel Padre», e dico: «In nome del Padre», se non compio un capovolgimento del giusto rapporto, se non annullo le dimensioni della sapienza originaria dentro il fenomeno Gesù Cristo secondo la carne, ma faccio l’opposto, cioè se leggo Gesù Cristo secondo questa dimensione originaria, allora io so - posso dirlo in questo senso - che tutti gli uomini sono cristiani e tutte le cose hanno una origine sapienziale. Noi non siamo una setta che aspira a diventare il tutto, ma siamo dentro il tutto. Devo liberarmi dalla concentrazione in Cristo di tutti i valori: questo che sembra atto di fede in realtà è predisposizione all’aggressività verso l’uomo. Tutti gli uomini respirano in questa sapienza perché la delizia di questa sapienza è stare con i figli degli uomini ovunque, anche presso quegli uomini il cui spettacolo mi ispira subito ripugnanza, tanto sono diversi da me. Nessun uomo è «diverso» per questa sapienza. Nel nome del Padre io amo tutte le creature perché tutte sono dentro il cerchio. Non solo amo tutte le creature, ma ho premura di tutte le creature.

In questi giorni della nube di Chernobyl sarà successo anche a voi di sentire questa premura delusa per le creature anche non razionali, per la natura, come diciamo, avvelenata da noi. È come se un peccato, asceso dal cuore dell’uomo, avesse invaso le cose ed esse ci guardassero in faccia deluse e irritate per la nostra presunzione. La mia riverenza verso le cose e verso gli altri uomini, quale che sia la loro professione di fede, non è una specie di tattica per nuove relazioni in vista di una conquista, ma è un mio modo di adorare il Padre che è nei cieli. Io dico che Egli è inconoscibile. Ebbene, quando incontro un uomo inconoscibile cioè impenetrabile, ho un tratto del mistero di Dio. Non devo capire tutto, tutto inserire dentro le planimetrie della mia intelligenza pena l’esclusione, la reiezione, ma devo piuttosto scontare nel quotidiano il mistero dell’eterno. Ogni volta che urto contro ciò che mi turba, devo dire: ecco il mistero del Padre, la sapienza originaria che non rientra nella nostra tavola pitagorica. Il mistero non è semplicemente una fuga nell’oscuro ma è, in positivo, il riconoscimento che alle origini di ogni cosa - della sorgente di acqua, del fiore, del bambino, del pensatore, del credente, dell’ateo - c’è un gesto architettonico amoroso. Questo è il mio modo di onorare il Padre.

Mi piace dire: io vivo nella chiesa del Padre. E poiché «cattolico» vuol dire universale, è questa la chiesa universale. In questa chiesa del Padre ci sono tutte le cose, anche gli uccelli dell’aria. C’è un santuario che è il mondo intero. Verrà un giorno, disse Gesù alla samaritana, in cui gli uomini adoreranno Dio fuori dei templi perché Dio è spirito e verità. Questa verità non è una evasione poetica perché si traduce in un atteggiamento etico ben preciso. Ad esempio, tanto per arrivare ad una applicazione - fra le molte che potrei fare in questa chiesa del Padre – come faccio a distinguere gli amici e i nemici? Come faccio ad identificare in alcuni uomini o gruppi umani il male da eliminare? Come faccio, se tutto è dentro? Come disse Gesù in un’altra parabola, questa chiesa del Padre è come un campo in cui è stato seminato il grano ma c’è anche la zizzania. Nessuno la strappi perché questo è compito del Padre, perché solo Lui potrà discernere. La Chiesa del Padre ha una virtù che è la tolleranza. Una tolleranza che è amorosa, non scettica. Mi preme sempre insistere su questa distinzione, perché la tolleranza scettica è un frutto della nostra recente cultura; tutte le idee si equivalgono, rispettiamole. All’opposto, io devo considerare ogni idea vissuta dall’uomo come una proposta, come una ricchezza possibile per la verità piena. E quindi non strappo, non conculco, non condanno.

Dobbiamo rileggere il mistero trinitario, come fa la Scrittura, nel concreto dell’esistenza lasciando a chi vuole la fatica di costruire concetti astratti e raffinatissimi. Io devo render conto di questa chiesa del Padre in cui vivo e che trovo, in questi tempi, minacciata, contaminata dall’orgoglio umano. Noi possiamo distruggere la creazione. La vita è una realtà fragile e misteriosa in questa architettura che comprende galassie e galassie. Io non so le ragioni del tutto, ma so che devo amare il tutto. Gesù è venuto, uomo fra gli uomini, non per fondare una religione ma per rivelarci «le cose del Padre» e perciò egli ci teneva a non essere di nessun tempio, di nessun Sinedrio. Siamo tutti imbarazzati perché non si riesce a decidere se era un laico o un prete. Era un uomo. Il che ci riesce difficile perché per noi un uomo è uomo quando è questo o quello. Egli era ebreo ma non lo era perché in realtà. Egli disse ai suoi: «Verranno da oriente e da occidente... ». Egli si chiamava - era il suo epiteto - «Figlio dell’uomo». Questa sua umanità universale Egli l’ha vissuta non riassumendo in sé il pensiero altrui, come hanno fatto i grandi pensatori (Platone ha riassunto in sé il pensiero precedente), ma è stato soltanto uomo tra gli uomini, portando su di sé la condizione degli ultimi, dei deboli, dei reietti e indicandoci - ma noi non capiamo mai - che la vera via per capire la sapienza di Dio è quella di scoprirla ai margini delle malefatte della sapienza umana. La sapienza umana costruisce un mondo in cui sono beati i ricchi, i forti. Se andate ai margini troverete i deboli, i poveri, i miti e lì c’è la sapienza. Gesù è veramente l’uomo universale perché Egli è la sapienza delle origini. Ascoltando la sua parola, ascolto la sapienza originaria con cui tutte le cose sono state costruite. «Guardate i gigli dei campi, gli uccelli del cielo... »: quando Gesù dice queste cose svela questa sapienza che ogni tanto ci scalda il cuore, ma siamo come nella impossibilità di realizzarla nella nostra vita. Gesù Cristo l’ha condensata nei suoi gesti. Egli ci ha raccolto a tavola, ci ha dato il pane ed il vino, ci ha detto di dividerci questo pane e questo vino, ricordandolo ed attendendolo, nel segno della fraternità. Ha lavato i piedi ai suoi perché noi facessimo altrettanto.

Se questo è il messaggio cristiano, non chiederò all’uomo: tu professi che Gesù Cristo è il Figlio di Dio? Gli dirò: come tratti gli altri? Lavi i piedi ai poveri? Ti preoccupi dei poveri? Questo gli chiederò. Questa è la vera carta di identità. Noi non abbiamo fatto così. Siamo andati in tutte le latitudini con una specie di furia per battezzare gli uomini. Siamo arrivati ad un punto che, mentre Gesù ha detto: «Annunciate le cose che ho detto e chi le riceverà battezzatelo», noi non abbiamo annunciato niente, ma abbiamo battezzato tutti. Il battesimo segno di conquista. Perfino gli schiavi negri venivano messi nelle navi dei negrieri e mentre salivano per la passerella venivano battezzati, per sottrarli alle nequizie ed inserirli nel mercato. Questi peccati storici ci pesano addosso come una lebbra.

Il nostro dovere, in questo momento, è di liberarci dalla setta. La setta è l’aggregazione di uomini che presumono di avere la verità e si contrappongono agli altri. Il cristianesimo è anche una setta. La mia chiesa è la chiesa universale. Guardando al futuro io so che la verità che devo conoscere è una verità «intera» che ancora non conosco. Come dice Gesù: «È lo Spirito che vi guiderà verso la verità intera». Questa verità intera non è la verità consegnata all’intelletto puro. La verità è sempre, nel linguaggio biblico, una conoscenza per partecipazione vitale. In genere nella Scrittura i meno favoriti nella verità sono gli intellettuali i quali vivono per partecipazioni astratte, che sono diverse dalla partecipazione vitale. Sono capaci di scrivere trattati sull’amore senza mai aver amato; san tutto ma non sanno nulla, mentre la conoscenza evangelica è una conoscenza per partecipazione vitale. Chi si assume una condizione umana la conosce dall’interno. La verità piena è la piena realizzazione dell’architettura delle origini. In questa verità piena tutte le cose che nascono dal cuore degli uomini sono come idealmente assunte. Io saprò nel futuro cosa significa, ad esempio, nella sapienza totale l’insegnamento di Buddha e quello di Maometto. Appena trent’anni fa, per rifarmi per analogia a quello che sta avvenendo già, era severamente intollerabile che uno, parlando in una chiesa cattolica, dicesse qualcosa di buono su Lutero. Veniva subito riprovato, ma oggi si riconosce che Lutero ha detto cose importanti e perfino i Papi glielo riconoscono. Sono aperture timide da non prendere troppo con entusiasmo, ma importanti. Noi dobbiamo dilatare questa misura. Tutte le esperienze dell’uomo vissute nella linea della pienezza, sono contributi alla verità piena del futuro. Tutti hanno lo Spirito Santo.

Lo Spirito Santo riempie la terra perché non è nel cerchio, è il cerchio che tutto circoscrive. Noi siamo dentro. Quindi è possibile ascoltare le parole delle sapienze religiose o filosofiche diverse con questo cuore aperto, perché la nostra verità è al futuro, non al presente. In questo divario fra il presente ed il futuro arrivano i torrenti del passato che confluiranno nel fiume in cui noi navigheremo domani, noi che siamo dentro un affluente. Questa apertura al futuro non è, ancora una volta, un’equiparazione indebita fra verità ed errore, ma è sentimento che la verità verrà, noi camminiamo verso la verità e l’unico modo di camminare bene è di essere fedeli al frammento di verità che conosciamo, senza la presunzione di farne la verità assoluta.

Fedeli a questa verità che ci traluce nell’anima e che riscontriamo nella parola che ascoltiamo, noi andiamo verso la verità piena. Lo Spirito ci guiderà. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, dai troni inaccessibili in cui li colloca l’astrazione e l’immaginazione, sono scesi nella condizione umana. Questo è il mistero del Dio cristiano, la cui delizia è stare fra gli uomini.

Questa riflessione ci permette di stare in questo momento della storia di un mondo così diverso, avvertendo certo tutti i turbamenti, anche quelli che derivano dal disfarsi delle certezze di ieri, di quando eravamo una setta. Se le sette prosperano oggi è perché diffondono sicurezze dogmatiche e forti in un tempo di incertezza. Noi dobbiamo sposare l’incertezza come modo vero di vivere per essere sul serio fratelli degli incerti. L’incertezza non è sempre segno di debolezza, è anche segno di amore per la verità. Noi andiamo verso la verità piena, sicuri che da tutti ci può venire un contributo per questa cognizione. Sappiamo che un giorno verrà la verità piena ed allora i frammenti degli uomini, presi dalla mano di Dio, formeranno la verità totale, unica ed indivisibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



1 Ernesto Calducci, «Dentro il cerchio». Omelia pronunciata alla Badia Fiesolana nella festività della SS. Trinità. Pubblicata in “Gli ultimi tempi- Vol.3° anno C 1985/1986 o 1988/1989 - Borla editrice, 1991; pag. 204-211.