Siria: ancora 22 morti in battaglia

E' salito ad almeno 22 morti e centinaia di arresti il bilancio della repressione e della violenza delle forze di sicurezza siriane fedeli al presidente Bashar al Assad nel 62° venerdì consecutivo di proteste

Radio Vaticana - Imponente la manifestazione organizzata ad Aleppo: attivisti la descrivono come la più massiccia dall'inizio delle dimostrazioni. Presto nel paese nuova missione dell’inviato di Onu e Lega Araba, Kofi Annan. Intanto, il Washington Post parla di incremento massiccio di rifornimento di armi ai ribelli, grazie ai fondi di diversi Paesi del Golfo e al coordinamento degli Stati Uniti. Sull’attendibilità e la portata di questa notizia, Fausta Speranza ha intervistato Maurizio Simoncelli, dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo: ascolta

R. – Non abbiamo fonti certe, naturalmente, di tutto quanto sta avvenendo in questo periodo nell’area mediorientale e intorno al conflitto che è scoppiato da ormai più di un anno in Siria. Il dato certo è che sicuramente, da una parte e dall’altra, ci sono forniture di armi: arrivano ai ribelli e all’esercito siriano, cioè ai lealisti per così dire. Le cifre certe non si hanno: ogni tanto si ha notizia di navi fermate e si dice che in alcuni casi provengano da parte dell’Iran. Noi sappiamo che uno dei tradizionali alleati del governo di Assad, in questo ambito, è anche la Russia di Putin, che si è sempre opposta a possibili embarghi.

D. – Qual è la portata di questa notizia: se dovesse essere vera cosa potrebbe significare per questo braccio di ferro tra opposizione e regime in Siria?


R. – Certamente, ormai ci troviamo di fronte a una guerra in corso. Il problema è sperare che tutto questo non si allarghi, perché vediamo che non sono soltanto gli Stati Uniti a essere i grandi fornitori di armi all’opposizione, ma anche qualche altro Paese del Golfo, che teme molto l’influenza e l’azione dell’Iran. Tutto questo potrebbe continuare a destabilizzare l’intero territorio. C’è quindi il pericolo di un avvitamento, di una crisi armata che potrebbe coinvolgere non solamente il Paese di cui stiamo parlando, ma un’area appunto molto, molto più vasta.


D. – Qualcuno fa un parallelismo con la situazione in Libia. Anche lì c’era guerra civile: a un certo punto è arrivato un massiccio aiuto di armi ai ribelli e c’è stata la svolta. E’ possibile fare questo paragone?


R. – Siamo in due situazioni molto, molto diverse: il regime di Gheddafi era un regime molto autonomo e indipendente rispetto al grande alleato della Siria che è l’Iran. Certamente, alcune dinamiche potrebbero essere simili. Però, ricordiamo che non sono stati i ribelli a vincere Gheddafi, ma c’è voluto l’intervento militare della Nato, che è stato risolutivo. Noi abbiamo nel caso della Siria un esercito ben armato, ben organizzato, che è quello di Assad, con truppe che si sono anche ammutinate, ma non siamo allo stesso livello di forze in campo. Per cui, per quanto Stati Uniti e altri Paesi possano inviare armi, non credo che un intervento solo di questo genere possa mettere in crisi le forze armate di Damasco. Abbiamo visto, purtroppo, la tragedia di Homs e adesso ci sono altre città che vengono bombardate… Immaginare un altro tipo di intervento come quello che c’è stato lo scorso anno mi sembra in questo momento estremamente difficile.

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