Il papa che vorrei

 

Un missionario dei migranti a Londra (lo scalabriniano Renato Zilio) auspica un papa per i tempi d’oggi: un direttore d’orchestra, un’icona di Dio

 

Nell’ansia dell’attesa un giornale inglese lanciava ai suoi lettori la proposta di scegliere ognuno il proprio papa. Quasi un voto di conclave allargato: “Choose your own pope!” Tra una rosa di 115 cardinali, le loro foto, il profilo, la scheda informativa la scelta è amplissima. Il papa che vorrei - vivendo come missionario tra culture e uomini differenti in una metropoli multiculturale - dovrebbe essere semplicemente un direttore d’orchestra. Ed è colui che fa suonare strumenti differenti che altri possiedono, ma ha la passione di comporre ciò che sembrava opposto. Ne fa un’arte: l’armonia. Ed è l’arte di far vivere un insieme, di far nascere l’unità. Così, il direttore d’orchestra, come per un corpo, lui ne è l’anima. 

 



Il papa che vorrei aiuterà ogni Chiesa in Africa, in Asia o altrove ad essere una tessera viva di un immenso e stupendo mosaico: il volto del Cristo. Le differenze di ogni Chiesa sono così accolte e raccolte in unità. Come l’amore che vive nella Trinità di Dio – modello ideale di ogni relazione tra gli uomini - la differenza di ognuno diventa la pietra di costruzione della comunione. Dove l’unità è il frutto delle originalità di ciascuno. Dove ad esempio, le scoperte del cammino di comunità cristiane in Estremo Oriente diventano un tesoro per tutte le altre. Così, il Vangelo sa farsi ancora semente viva nelle terre d’Asia o d’Africa e nelle loro millenarie culture. Produrre, così, piante differenti in tutto il loro valore e originalità con il profumo intenso di Vangelo. Non piante già cresciute e trapiantate dalla nostra Europa.

Come un direttore d’orchestra, in fondo, il papa inviterà ognuno ad uscire dal proprio mondo e a costruire insieme un mondo nuovo, fatto di fratellanza e di accoglienza dell’altro, dell’alterità. Per questo, il gesto di comporre le differenze, di far incontrare le diversità dirà il valore più grande del Regno di Dio: la comunione tra gli uomini.

Così, non vorrei che il nostro papa fosse un idolo. Un’icona, invece. Idolo e icona vivono una dinamica differente, anzi opposta: uno accentra le forze, l’attenzione e il potere. L’altra, invece, rinvia ad un Altro, a qualcosa di più importante e di più bello. Invita a guardare lontano. A nutrirsi di una visione, un “aldilà” delle cose e del mondo. Un’icona è solo un raggio della luce del Divino, del Trascendente, la sua qualità fondamentale ne è l’umiltà.
 

 

L’icona è come un dito puntato verso un orizzonte, indicando sempre qualcosa di più grande. Altrimenti diventa idolo: vive un protagonismo eccessivo, un attivismo esagerato, al centro dell’ammirazione o dell’obbedienza di altri. Un vero leader sarà sempre un’icona. Avrà uno sguardo differente da tutti: gli occhi gli brillano, perchè ha una visione davanti a lui. Vede il mondo che sarà domani, sa captare il futuro che sta nascendo. Come Abramo e Mosè, avverte i bisogni vitali di un popolo in cammino: ciò diventa una forza mobilizzatrice per sé e per gli altri. Sa risvegliare in ognuno le forze migliori, perché le intravede, le chiama alla vita, al cammino e alle sfide. Non abbatte, ma suscita. Incoraggia. Stimola potentemente. Respira la speranza e la fiducia nel nuovo, nel differente. Perchè questo spesso è il volto dello Spirito che si presenta tra di noi e ci sorprende. Non domina la Chiesa. Ma anticipa, sollecita e vive i valori del Regno di Dio. La pace, la giustizia, il dialogo, la misericordia, l’apertura di mente e di cuore brillano in lui come l’oro di un’icona vivente. 

Ma soprattutto non dimenticherà mai le parole del priore dei monaci di Tibhirine, veri uomini di Dio: “Credo che l’avvenire della Chiesa sia la povertà e la fragilità”.
Ed è il senso, in fondo, di ogni icona.

 

 

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