Mali: timori per un 'contagio' jihadista. Il Sahel guarda all'Onu

“Il mondo occidentale non ha alcuna idea di quello che il Sahel era perché la storia lo ha portato assieme alla Nato a prestare maggiore attenzione all’Iraq e all’Afghanistan, ma potenzialmente il Sahel è molto più pericoloso, molto più di quest’ultimo”.  

 

 

 

 

 

 

Misna - Lo ha dichiarato l’inviato speciale del segretario generale dell’Onu nella regione africana, Romano Prodi, a due mesi dall’avvio dell’offensiva militare francese Serval in Mali. L’ex presidente del Consiglio italiano ha sottolineato che paesi quali Burkina Faso, Niger e Mauritania “hanno lo stesso timore, per non dire ossessione, di un contagio del proprio territorio” da parte di quei gruppi ribelli legati ad Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) che l’anno scorso hanno preso il controllo delle regioni settentrionali del Mali. “E’ comprensibile perché i loro paesi non hanno veri e propri confini” ha aggiunto Prodi, che nelle scorse settimane si è recato in visita nell’instabile regione. “La situazione del Ciad è un po’ diversa poiché il paese può contare su un esercito forte” ha precisato l’ex presidente della Commissione europea, sottolineando che “il numero e la forza di quei terroristi è stata pesantemente sottovalutata”. Prodi ha poi guardato in direzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che, secondo lui “è chiamato a decidere dei prossimi passi da compiere in Mali”, evidenziando che “sarà però necessaria una garanzia internazionale ad un’equa distribuzione dei fondi pubblici destinati al nord del paese”. 

A portare lo sguardo verso 

 

il Consiglio di sicurezza è anche la Francia, in prima linea nell’intervento militare che ha consentito di liberare le regioni settentrionali del Mali ma che sta proseguendo nel territorio montuoso degli Ifoghas e di Timetrine (nord-est), principale santuario di Aqmi. Il ministro degli Esteri Laurent Fabius ha annunciato che “probabilmente ad aprile verrà approvata una risoluzione” che dovrebbe dare il via libera a un’Operazione di mantenimento della pace in Mali (Omp), sponsorizzata e finanziata dall’Onu. La missione di peacekeeping potrebbe coinvolgere fino a 10.000 uomini, da dispiegare prima delle elezioni generali del prossimo luglio. I caschi blu dovrebbero così subentrare ai soldati francesi di Serval e inglobare l’attuale Missione internazionale di sostegno al Mali (Misma), a guida africana. Diversi paesi della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao) hanno già fornito 6300 militari, ai quali si sono aggiunte altri 2000 unità messe a disposizione dal Ciad. Anche l’organismo regionale ha dato il suo consenso formale al passaggio ad una missione Onu, viste le grandi difficoltà a reperire i fondi necessari al funzionamento della Misma. 

Intanto, alle accuse mosse dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu nei confronti dei soldati maliani, sospettati di gravi violazioni ai danni delle comunità tuareg, peul e arabe, il presidente di transizione Dioncounda Traoré ha risposto di non essere a conoscenza di “abusi su vasta scala ma piuttosto di casi isolati” che Bamako “proseguirà e punirà”.
 

Da Gao, la più importante località del nord, reportage e testimonianze concordanti hanno riferito del rientro di centinaia di maliani che raggiungono il capoluogo “a bordo di autobus stracolmi”. Diverse ong locali hanno assicurato che dall’inizio della crisi, nel gennaio 2012, l’80% dei 90.000 abitanti di Gao è scappato. Tornati nella città di origine, la gente deve però fare i conti con prezzi alle stelle e abitazioni saccheggiate. “I beni di prima necessità scarseggiano. Il mercato di Gao è inesistente: le strade verso sud sono bloccate quindi il riso non arriva. L’Algeria ha chiuso i confini quindi niente farina, latte, olio e zucchero” ha deplorato l’ong locale Tassaght. Secondo l’Onu il conflitto nel nord del Mali ha costretto 260.000 persone a spostarsi verso altre regioni e 170.000 a rifugiarsi nei paesi confinanti.
 

 

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