( continuazione...)

 

 

 

E consideravamo anche che la Messa, cioè questa consacrazione, questa assunzione di Cristo della terra e del sangue, di tutto ciò che è vivo ed è nobile, nell’umanità e nella terra, è il nostro impegno quotidiano. Dobbiamo amare la vita perché è stata assunta da Cristo, dobbiamo amare la bellezza, la verità, la giustizia, l’amore, il dono di sé, perché sono stati assunti da Cristo e circolano nella nostra umanità, come il sangue di Cristo. E consideravamo anche come questa apertura della nostra coscienza alla vita e a tutto ciò che rende più intensa e più affascinante e più appassionata la vita, ci libera dalla divisione, dalla separazione, dal peccato: il mio corpo, che viene frantumato per la redenzione dei peccati, il mio sangue, che viene sparso per l’abolizione del peccato. Queste parole di Cristo ci apparivano in questo particolare significato. E io penso che non sia un’espressione retorica, ma un approfondimento meditativo e, quindi, un approfondimento verso la verità di queste grandi parole di Cristo, perché il peccato è la divisione. Il superamento del peccato è stato compiuto da Cristo e quando la nostra coscienza si apre a tutta la vita, a tutto ciò che è nobile e qualitativamente alto, e nasce in seno al creato, noi comunichiamo con queste due realtà e siamo liberi dal peccato.

 

E oggi, nella liturgia, ci viene presentato alla nostra considerazione, il mistero della Croce. E noi sentiamo vivamente la morte di Cristo. Nel primo canto parlavamo della “crudel morte di Cristo” ed eravamo invitati a piangere amaramente su questa morte, perché Cristo è ancora crocifisso, e noi siamo ancora crocifissi: quante cose ci condizionano, ci deformano! quanti nostri aneliti vengono oppressi (meglio: repressi, ndr) e da noi e dagli altri! E questa emozione che noi proviamo, considerando il mistero della crocifissione di Cristo, diventa più vera e più autentica perché ci rivela uno stato di fatto: che l’uomo è crocifisso. A qualunque razza, o stirpe, o nazione, o popolo, o paese, o gruppo, appartenga, l’uomo è crocifisso. E attende la sua resurre­zio­ne e la sua liberazione.

 

Per comprendere, così, sulla linea della simbologia, il significato del Crocifisso, noi dobbiamo considerare il fatto della crocifissione, nel momento in cui si è verificato e nel modo con cui si è verificato, per far scendere in noi quelle conoscenze che sono scese dal momento della crocifissione di Cristo nella coscienza di tutti gli uomini, ma di cui dobbiamo diventare consapevoli perché queste prendano sempre più possesso della nostra anima, della nostra mente, della nostra volontà, del nostro sentimento, in modo da renderci partecipi di quell’onda di vita che è scaturita con la crocifissione di Cristo e con la discesa del sangue di Cristo sulla terra. Non vorrei trattenervi molto a lungo ma dirvi delle cose in una maniera sintetica perché possiate comprendere quello che io penso, quello che tento di dirvi.

 

Cinque secoli avanti Cristo è apparsa sulla terra una grande figura di uomo che ha affrontato i problemi ultimi dell’esistenza ed ha cercato di dar loro una soluzione. Quest’uomo è l’Illuminato, il Buddha. Egli ha chiamato la vita, “il nascere”: la sofferenza insita nella vita, la precarietà della vita. Osservando la malattia nel dolore, osservando che l’amore non è permanente sulla terra, osservando che il distacco dagli amici è impermanente, è transitorio, osservando (che) la morte come fine ad una vita di sofferenza, ad una vita effimera, ad una vita legata ad una continua mutazione, egli consegnò agli uomini e ai suoi monaci la grande rivelazione e disse: la vita è dolore, la vita è sofferenza, cerca di liberarti dalla sofferenza, distaccati dalla sofferenza.

 

La vita è sofferenza perché noi uomini siamo attaccati all’esistenza, desideriamo intensamente vivere e desideriamo quindi un qualcosa di vuoto, di impermanente. Il distaccarsi allora dal desiderio della vita e vivere una condizione impermanente, in modo da lasciar fluire sulla propria mente, sulla propria coscienza, tutto il divenire, il trasformarsi delle cose senza essere travolti, è il principio della beatificazione, dell’illuminazione, secondo Buddha. Quindi la vita era considerata come un qualcosa di inevitabile per la nostra coscienza personale, ma da cui dobbiamo distaccarci per non essere travolti in una sofferenza senza fine.

 

Cristo, ed è questo il nuovo stato di coscienza, - ho riportato il paragone perché possiamo in qualche maniera capire quelle trasformazioni profonde che ha operato nella coscienza dell’uomo la venuta di Cristo, il patire di Cristo e la resurrezione di Cristo - Cristo vede la vita non come male ma come un forte bene. Vede il dolore e la sofferenza non come frutto di un desiderio di vivere e di sopravvivere, ma come un qualcosa che l’uomo deve affrontare positivamente per crescere, per dare i suoi frutti e i suoi fiori, per dare all’umanità ed alla vita tutto il meglio di se stessi. E Cristo vede la morte, e affronta la morte, e affronta il patire, ma non ne è travolto e la morte, attraverso questo affrontamento che Cristo compie, direi, si spezza, si frantuma e Cristo risorge. Allora la vita è un dono, è un impegno austero, che deve essere affrontato da noi con grande coraggio e con grande positività.

 

La sofferenza esiste, esiste la malattia, esiste la vecchiaia, tutte cose che sconcertavano il Buddha, e noi sappiamo che, cristianamente, le dobbiamo affrontare, con spirito forte, sereno, perché è dall’incontro della nostra vita personale con queste pesantezze dolorose dell’esistenza che nasce in noi il riconoscimento della vita e sorge in noi, lentamente ma sicuramente, la vera vita, che è forte, che è nobile, ... anche se presuppone questo continuo passaggio di patire, di sofferenza, di dolore, di amarezze, di distacco.

 

Ecco, Cristo ci dice, affronta positivamente la vita, perché la vita viene da Dio e la vita è potenziata dalla presenza dello Spirito e la vita deve essere vissuta positivamente, qualunque siano i momenti, i momenti felici e i momenti tristi, i momenti nobili e i momenti di depotenziamento, deve essere sempre affrontata da noi vigorosamente e serenamente. Ed allora la morte è vita, il dolore è via alla vita, l’amore è via alla vita. E anche le separazioni, per quanto pesino sulla nostra sensibilità, sono sempre una via verso una pienezza alla quale tutti siamo incamminati, con la diversità fra la composizione, prima di Cristo e dopo Cristo, nei confronti della vita che è questa: dopo Cristo, la vita, con tutte le sue manifestazioni che rimangono immutate, viene affrontata positivamente perché, al di là della sofferenza c’è la gioia, al di là del dolore c’è la consolazione, al di là della morte c’è la vita, e una vita più piena, più sconfinata.

 

Come vedete, queste conoscenze che ho enucleato così brevemente, sono depositate nella nostra coscienza perché Cristo non ci ha dato delle verità razionali di cui dobbiamo appropriarci e che dobbiamo ripeterci per conoscere il suo mistero, Cristo ci ha dato la vita e la vita è conoscenza, e la vita è sentimento, e la vita è trasformazione operata da queste conoscenze e da queste emozioni che essa mette in moto. E se in noi c’è nella generalità - poi quando siamo presi dall’onda della violenza e della cattiveria dimentichiamo tutto - ma se in noi c’è un rispetto alla vita, un amore alla vita, una prontezza a difendere ciò che è debole, ciò che è calpestato, questo ci viene da Cristo. E perché noi facciamo questo? Perché nel profondo della nostra coscienza c’è una speranza senza fine che dobbiamo rinnovare ogni giorno nel nostro incontro con Cristo. Perché l’umanità e tutto l’universo è in cammino verso una manifestazione di pienezza, di vita, di gioia, di amore, di libertà che non conosciamo ma che è in noi depositata come un germe chiamato a crescere, chiamato a svilupparsi, chiamato a dare tutti i suoi frutti. E questo sentiamo, e questo lo abbiamo ricevuto da Cristo che incessantemente ispira queste grandi verità del nostro essere per trasformarlo, per renderlo più fertile.

 

Allora la morte di Cristo che commemoriamo oggi non è un pianto sul Cristo crocifisso duemila anni fa ma è un momento di tristezza sull’uomo che è ancora crocifisso, su noi che ancora siamo crocifissi, su noi cristiani che ancora non abbiamo compreso che il nostro cammino deve trasformare l’uomo per renderlo più vero, deve trasformare noi stessi per renderci più veri e più liberi, più capaci di muoverci secondo il soffio dello spirito e della verità cristiana, e attraverso la nostra trasformazione gli altri uomini dovranno essere trasformati e cambiati. Allora il momento di tristezza del Venerdì Santo credo che nasca da questa constatazione profonda della nostra coscienza che vede che l’uomo è ancora crocifisso, ma al tempo stesso, questa tristezza è animata da una forte speranza, da una profonda fiducia - io direi da una certezza - che un giorno tutti saremo liberati da questa energia che Cristo ha introdotto nel profondo della nostra coscienza e che ci rende sempre più veri, sempre più liberi, sempre più capaci di amare la vita, di benedire la vita, sempre più capaci di partecipare a tutto quanto di nobile, di vivo sorge in mezzo agli uomini. E questo non per amore dell’uomo in quanto tale ma per amore dell’uomo in quanto è stato assunto da Dio nella persona di Cristo. Noi siamo in cammino verso la divinizzazione dell’umanità e questo lo dobbiamo sentire fortemente.

 

Io devo essere figlio di Dio, ognuno di voi deve raggiungere la trasformazione da figlio della carne e del sangue in figlio di Dio. Questo è il senso della nostra vita religiosa portata da Cristo e per il raggiungimento di questa pienezza di vita, di figli di Dio, noi aiuteremo noi e aiuteremo gli altri a compiere il loro cammino di coscienze umane nella storia. Perché il nostro amore è per l’uomo vero, l’uomo reale, che se ha una dimensione terrena, ha anche una dimensione più profonda che gli viene dallo spirito, da Dio e dalla presenza in ogni essere che viene all’esistenza, di Cristo, come parola, come verità e come vita.